IL CROLLO DEL DARWINISMO E LA REALTÀ DELLA CREAZIONE

PREFAZIONE

Coloro che cercano una risposta al problema del modo in cui gli esseri viventi, compresi se stessi, sono giunti all’esistenza, incontrano due distinte spiegazioni. La prima è che tutti gli esseri viventi sono stati creati da Dio, Onnipotente e Onnisciente. La seconda spiegazione è la teoria della “evoluzione” che sostiene che gli esseri viventi siano il prodotto di cause fortuite e di processi naturali.
Da un secolo e mezzo, ormai, la teoria dell’evoluzione riceve ampio sostegno dalla comunità scientifica. La biologia è definita in termini di concetti evoluzionisti. Ecco perché tra le due spiegazioni della creazione e dell’evoluzione, la maggior parte della gente presume che la spiegazione evoluzionista sia scientifica. Di conseguenza si crede che l’evoluzione sia una teoria supportata da scoperte scientifiche basate sull’osservazione, mentre la creazione è ritenuta una credenza basata sulla fede. In realtà, invece, le scoperte scientifiche non supportano la teoria dell’evoluzione. Le scoperte degli ultimi due decenni, in particolare, contraddicono gli assunti di base di questa teoria. Molte branche della scienza, come la paleontologia, la biochimica, la genetica, la biologia molecolare, l’anatomia comparativa e la biofisica, indicano che processi naturali e fortuiti non sono in grado di spiegare la vita, come invece propone la teoria dell'evoluzione, e che tutte le forme di vita furono create perfettamente.
In questo libro analizzeremo la crisi scientifica affrontata dalla teoria dell’evoluzione. Questa opera si fonda esclusivamente su scoperte scientifiche. Quelli che sostengono la teoria dell’evoluzione come verità scientifica, devono confrontarsi con queste scoperte e mettere in questione le ipotesi che hanno sostenuto finora. Rifiutarsi di farlo significherebbe accettare apertamente che la loro adesione alla teoria dell’evoluzione sia dogmatica piuttosto che scientifica.
 

BREVE STORIA

Nonostante abbia le sue radici nell’antica Grecia, la teoria dell’evoluzione fu portata per la prima volta all’attenzione della comunità scientifica nel diciannovesimo secolo. L’opinione sull’evoluzione più ampiamente presa in considerazione fu espressa dal biologo francese Jean-Baptiste Lamarck, nella sua Philosophie zoologique (1809). Lamarck pensava che tutti gli esseri viventi fossero dotati di una forza vitale che li portava a evolversi verso una maggiore complessità. Pensava inoltre che gli organismi fossero in grado di trasmettere alle generazioni future i caratteri originali acquisiti durante la vita. Come esempio di questa linea di pensiero, Lamarck suggeriva che il lungo collo della giraffa si era evoluto quando un antenato dal collo corto aveva cominciato a brucare le foglie degli alberi invece che l'erba.
Questo modello evolutivo di Lamarck fu invalidato dalla scoperta delle leggi dell’eredità genetica. A metà del ventesimo secolo, la scoperta della struttura del DNA rivelò che i nuclei delle cellule degli esseri viventi contengono informazioni genetiche speciali e che queste informazioni non possono essere alterate da “caratteri acquisiti”. In altre parole, durante la vita, anche se la giraffa fosse riuscita ad allungare il collo di pochi centimetri per raggiungere i rami superiori, questo carattere non sarebbe passato alle generazioni future. In breve, l’opinione di Lamarck fu semplicemente confutata dalle scoperte scientifiche e passò alla storia come un’ipotesi errata.
La teoria dell’evoluzione formulata da un altro naturalista che visse un paio di generazioni dopo Lamarck, però, si dimostrò più influente. Questo naturalista era Charles Robert Darwin e la teoria da lui formulata è nota come “darwinismo”.
La nascita del darwinismo
Charles Darwin si imbarcò volontariamente a bordo della nave Beagle, salpata dall'Inghilterra nel 1831, per una spedizione ufficiale di cinque anni intorno mondo. Il giovane Darwin fu fortemente impressionato dalla varietà delle specie che osservò, in special modo dai fringuelli delle isole Galápagos. Le differenze nei becchi di questi uccelli, pensò Darwin, erano il risultato del loro adattamento ad ambienti diversi.
Dopo questo viaggio, Darwin iniziò a visitare i mercati di animali in Inghilterra. Egli osservò che gli allevatori producevano nuove razze di mucche accoppiando animali con caratteristiche diverse. Questa esperienza, insieme con le diverse specie di fringuelli osservati nelle isole Galápagos, contribuì alla formulazione della sua teoria. Nel 1859 egli pubblicò le sue opinioni nel libro L’origine delle specie. In questo libro egli sosteneva che tutte le specie fossero discese da un singolo antenato, evolvendosi dall’una all’altra nel tempo con leggere variazioni.
Quello che rendeva diversa la teoria di Darwin da quella di Lamarck era l’enfasi sulla “selezione naturale”. Darwin teorizzò che in natura si svolgesse una lotta per la sopravvivenza e che la selezione naturale comportasse la sopravvivenza di specie forti o di quelle che meglio si adattano al loro ambiente. Darwin adottò la seguente linea di ragionamento.
Nell’ambito di una particolare specie ci sono variazioni naturali e fortuite. Per esempio, alcune mucche sono più grandi di altre, mentre alcune sono di colore più scuro. La selezione naturale sceglie i caratteri favorevoli. Il processo della selezione naturale, quindi, causa un aumento dei geni favorevoli nell’ambito di una popolazione, il che ha come risultato il fatto che le caratteristiche di quella popolazione si adattino meglio alle condizioni locali. Nel corso del tempo queste modificazioni possono essere così significative da causare l’insorgere di una nuova specie.
Charles Darwin ha sviluppato la sua teoria quando la scienza era ancora in uno stato primitivo. Sotto microscopi primitivi come questi, la vita sembrava avere una struttura molto semplice. Questo errore forma la base del darwinismo.
Questa “teoria dell'evoluzione per selezione naturale”, però, diede origine a dubbi sin dall’inizio.
1- Che cosa erano le “variazioni naturali e fortuite” a cui faceva riferimento Darwin? È vero che alcune mucche erano più grandi di altre, mentre altre erano più scure, ma in che modo queste variazioni potevano fornire una spiegazione della diversità nelle specie animali e vegetali?
2- Darwin asserì che “gli esseri viventi si sono evoluti gradualmente”. In questo caso, avrebbero dovuto vivere milioni di “forme di transizione”. Tuttavia, nei reperti fossili, non c’è alcuna traccia di queste teoriche creature. Darwin pensò molto a questo problema e alla fine arrivò alla conclusione che “ulteriori ricerche forniranno questi fossili”.
3- In che modo la selezione naturale potrebbe spiegare organi complessi come occhi, orecchie o ali? Com’è possibile sostenere che questi organi si siano evoluti gradualmente, se si considera che fallirebbero la loro funzione nel caso in cui mancasse anche una singola parte?
4- Prima di esaminare queste questioni, pensiamo a quanto segue: in che modo il primo organismo, il cosiddetto antenato di tutte le specie, secondo Darwin, giunse all’esistenza? Dato che i processi naturali non sono in grado di dare la vita a qualcosa che in origine era inanimato, in che modo Darwin spiegherebbe la formazione della prima forma di vita?
Darwin era consapevole almeno di alcune di queste questioni, come si può vedere dal capitolo “Difficoltà della teoria”. La risposta che egli diede, comunque, non aveva alcuna validità scientifica. H.S. Lipson, un fisico britannico, commenta come segue queste “difficoltà” di Darwin:
Nel leggere L'origine delle specie ho trovato che Darwin fosse molto meno sicuro di sé di quanto spesso volesse dimostrare di essere; il capitolo intitolato "Difficoltà della teoria", ad esempio, rivela dei dubbi considerevoli. Come fisico, sono rimasto particolarmente incuriosito dai suoi commenti sul modo in cui l'occhio sarebbe apparso.1
Darwin investì tutte le sue speranze nell’avanzamento delle ricerche scientifiche che egli prevedeva avrebbe eliminato le “difficoltà della teoria”. Contrariamente alle sue aspettative, però, le più recenti scoperte scientifiche hanno solo accresciuto tali difficoltà.
Il problema dell’origine della vita.

Louis Pasteur distrusse la credenza secondo cui la vita poteva essere creata da sostanze inanimate.
Nel suo libro, Darwin non cita mai l’origine della vita. La primitiva comprensione delle scienze dei suoi tempi si fondava sull’assunto secondo cui gli esseri viventi erano strutture molto semplici. Sin dal Medioevo, la generazione spontanea, la teoria secondo cui la materia non vivente potesse mettersi assieme per formare organismi viventi, era ampiamente accettata. Si credeva che gli insetti giungessero all’esistenza da resti di cibo. Si immaginava inoltre che i topi venissero all’esistenza dal frumento. Interessanti esperimenti furono condotti per dimostrare questa teoria. Del frumento fu messo su un pezzo di stoffa sporco e si pensava che i topi sarebbero emersi a tempo debito.
Allo stesso modo, il fatto che comparissero vermi nella carne era ritenuto prova della generazione spontanea. Ci si accorse solo dopo, però, che i vermi non comparivano nella carne spontaneamente, ma erano portati da mosche sotto forma di larve, invisibili a occhio nudo.
Anche nel periodo in cui Darwin scrisse L’origine delle specie, la credenza secondo cui i batteri giungessero all’esistenza dalla materia inanimata era molto diffusa.
Cinque anni dopo la pubblicazione del libro di Darwin, però, Louis Pasteur annunciò i suoi risultati dopo lunghi studi ed esperimenti, ed essi smentirono la generazione spontanea, una pietra miliare della teoria di Darwin. Nella sua trionfale conferenza tenuta alla Sorbona nel 1864, Pasteur disse: “la dottrina della generazione spontanea non si riprenderà più dal colpo mortale infertogli da questo semplice esperimento".2
I sostenitori della teoria dell’evoluzione si rifiutarono per molto tempo di accettare le scoperte di Pasteur. Man mano che il progresso scientifico rivelava la complessa struttura della cellula, però, l’idea che la vita potesse giungere all’esistenza per coincidenze, affrontò un ostacolo ancora maggiore. In questo libro, esamineremo questo argomento in dettaglio.
Il problema della genetica
Un altro argomento che presentò un dilemma per la teoria di Darwin fu l’ereditarietà. Al tempo in cui Darwin sviluppò la sua teoria, la questione del modo in cui gli esseri viventi trasmettono i propri caratteri alle altre generazioni – cioè in che modo ha luogo l’ereditarietà — non era completamente compreso. Ecco perché era accettata l'ingenua credenza secondo cui l’ereditarietà fosse trasmessa attraverso il sangue.
Vaghe credenze circa l’ereditarietà portarono Darwin a fondare la sua teoria su un terreno completamente falso. Darwin ipotizzò che la selezione naturale fosse il “meccanismo dell’evoluzione”. Tuttavia una domanda restava senza risposta: in che modo questi “caratteri utili” sarebbero stati selezionati e trasmessi da una generazione all’altra? A questo punto Darwin abbracciò la teoria di Lamarck, cioè “il passaggio dei caratteri acquisiti”. Nel suo libro The Great Evolution Mystery, Gordon R. Taylor, un ricercatore sostenitore della teoria dell’evoluzione, esprime la sua opinione secondo cui Darwin sarebbe stato fortemente influenzato da Lamarck:
il lamarckismo… è noto come l’eredità delle caratteristiche acquisite… Darwin stesso, in realtà, era incline a credere che questa eredità ci fosse e citò il caso di un uomo che aveva perso le dita ed ebbe figli senza dita…. [Darwin] stesso disse di non aver preso una sola idea da Lamarck. Questo era doppiamente paradossale, perché Darwin si trastullò ripetutamente con l’idea dell’eredità dei caratteri acquisiti e, se tale idea è tanto spaventosa, è Darwin che deve essere messo sotto accusa, piuttosto che Lamarck… Nell’edizione del 1859 della sua opera, Darwin fa riferimento a ‘modifiche delle condizioni esterne’ che causano variazioni ma, in seguito, queste condizioni sono descritte come qualcosa che dirige le variazioni e coopera con la selezione naturale nel dirigerle… Ogni anno egli attribuiva sempre più effetti all’uso e al non uso… Nel 1868, quando pubblicò Le variazioni di animali e piante domestiche, egli fornì un‘intera serie di esempi della presunta ereditarietà lamarckiana: ad esempio l’uomo che aveva perso parte del mignolo e i cui figli erano nati con mignoli deformi e bambini nati con prepuzi di lunghezza molto ridotta come risultato di generazioni di circoncisioni. 3

Le leggi della genetica, scoperte da Mendel, si dimostrarono molto dannose per la teoria dell’evoluzione.
La tesi di Lamarck, come abbiamo visto in precedenza, fu però confutata dalla legge dell’ereditarietà genetica scoperta dal monaco e botanico austriaco Gregor Mendel. Il concetto di “caratteri utili”, quindi, rimase privo di sostegno. Le leggi della genetica dimostrarono che i caratteri acquisiti non sono trasmessi e l’eredità genetica avviene secondo certe leggi immutabili. Queste leggi supportano l’opinione secondo cui le specie restano invariate. Non importa quanto potessero procreare le mucche che Darwin vedeva nelle fiere zootecniche, la specie stessa non sarebbe mai cambiata: le mucche sarebbero rimaste sempre mucche.
Gregor Mendel annunciò le leggi dell’ereditarietà genetica, che aveva scoperto come frutto di lunghi esperimenti e osservazioni, in un documento scientifico pubblicato nel 1865. Il documento, però, attrasse l’attenzione della comunità scientifica solo verso la fine del secolo. Verso l’inizio del ventesimo secolo, la verità di queste leggi era stata accettata da tutta la comunità scientifica. Questo fu un grave vicolo cieco per la teoria di Darwin che cercava di basare il concetto di “caratteri utili” su Lamarck.
A questo punto dobbiamo correggere un equivoco generalizzato: Mendel si oppose non solo al modello di evoluzione di Lamarck ma anche a quello di Darwin. Come è reso chiaro dall’articolo "Mendel's Opposition to Evolution and to Darwin," pubblicato nel Journal of Heredity, egli [Mendel] conosceva bene L’origine delle specie e si opponeva alla teoria di Darwin; Darwin sosteneva una discesa con modifiche attraverso la selezione naturale, Mendel era a favore della dottrina ortodossa della creazione delle specie. 4
Le leggi scoperte da Mendel misero il darwinismo in una posizione molto difficile. Per tali motivi, nel primo quarto del ventesimo secolo, gli scienziati che sostenevano il darwinismo cercarono di sviluppare un modello di evoluzione diverso. Nacque così il “neodarwinismo”.
Gli sforzi del neodarwinismo
Un gruppo di scienziati determinati a conciliare in un modo o nell’altro il darwinismo con la scienza della genetica, si incontrò in un convegno organizzato dalla Società Geologica d'America nel 1941. Dopo una lunga discussione, essi si accordarono sui modi per creare una nuova interpretazione del darwinismo e, nel corso degli anni successivi, specialisti produssero una sintesi dei rispettivi campi che diede vita a una teoria rivisitata dell’evoluzione.
Tra gli scienziati che parteciparono alla formulazione della nuova teoria, c’erano i genetisti G. Ledyard Stebbins e Theodosius Dobzhansky, gli zoologi Ernst Mayr e Julian Huxley, i paleontologi George Gaylard Simpson e Glenn L. Jepsen e i genetisti matematici Ronald Fischer e Sewall Right.5
Per contrastare la "stabilità genetica” (omeostasi genetica), questo gruppo di scienziati ha impiegato il concetto di “mutazione”, che era stato proposto dal botanico olandese Hugo de Vries all’inizio del ventesimo secolo. Le mutazioni erano difetti che si presentavano, per ragioni ignote, nel meccanismo ereditario degli esseri viventi. Gli organismi che subivano una mutazione sviluppavano strutture insolite, che deviavano dalle informazioni genetiche ereditate dai genitori. Si suppose che il concetto di “mutazione casuale” fornisse la risposta alla domanda sull’origine delle variazioni vantaggiose che provocavano l’evoluzione degli organismi viventi secondo la teoria di Darwin – un fenomeno che Darwin stesso non era in grado di spiegare, ma semplicemente cercava di eludere riferendosi a Lamarck. Il gruppo della Società Geologica d’America chiamò questa teoria, che fu formulata aggiungendo il concetto di mutazione alla tesi di Darwin sulla selezione naturale, la “teoria sintetica dell’evoluzione" o la “sintesi moderna”. In poco tempo, questa teoria divenne famosa come “neodarwinismo” e i suoi sostenitori divennero noti come “neodarwinisti”.

Gli architetti del neodarwinismo: Ernst Mayr, Theodosius Dobzhansky e Julian Huxley
Ma c’era un problema serio: era vero che le mutazioni cambiavano i dati genetici degli organismi viventi, eppure questo cambiamento avveniva ai danni dell’essere vivente in questione. Tutte le mutazioni osservate producevano individui sfigurati, deboli o malati e, a volte, portavano alla morte dell’organismo. Allora, nel tentativo di trovare esempi di “mutazioni benefiche” che migliorassero i dati genetici negli esseri viventi, i neodarwinisti hanno condotto molti esperimenti e molte osservazioni. Per decenni, hanno condotto esperimenti di mutazione sulle moscerini della frutta e su varie altre specie. In nessuno di questi esperimenti, però, fu possibile vedere una mutazione che migliorasse i dati genetici dell’essere vivente.
La questione della mutazione è oggi una grande impasse per il darwinismo. Nonostante la teoria della selezione naturale consideri le mutazioni come l’unica fonte di “cambiamenti benefici”, non sono state osservate mutazioni di alcun tipo che siano realmente benefiche, cioè che migliorino le informazioni genetiche. Nel capitolo che segue, considereremo la questione nei dettagli.
Un’altra impasse per i neodarwinisti deriva dai reperti fossili. Già nell’epoca di Darwin, i fossili rappresentavano un importante ostacolo alla teoria. Sebbene Darwin stesso accettasse la mancanza di fossili delle “specie intermedie”, egli prevedeva anche che altre ricerche avrebbero fornito le prove di queste forme di transizione perdute. Nonostante, però, tutti gli sforzi dei paleontologi, i reperti fossili sono rimasti sempre un ostacolo serio alla teoria. Uno alla volta, concetti quale “organi vestigiali”, “ricapitolazione embriologica” e “omologia” hanno perso ogni significato alla luce delle nuove scoperte scientifiche. Tutte queste problematiche saranno trattate in dettaglio nei capitoli successivi di questo libro.
Una teoria in crisi

Michael Denton
Abbiamo appena visto in breve l’impasse in cui si è trovato il darwinismo fin dal primo giorno in cui è stato proposto. Iniziamo ora ad analizzare le enormi dimensioni di questa impasse. In questo libro, la nostra intenzione è mostrare che la teoria dell’evoluzione non è una verità scientifica inconfutabile, come molte persone ritengono o cercano di imporre agli altri. Al contrario, ci sono evidenti contraddizioni quando la teoria dell’evoluzione viene confrontata con le scoperte scientifiche in campi diversi, quali la genetica della popolazione, l’anatomia comparata, la paleontologia, la biologia molecolare e la biochimica. In una parola, l'evoluzione è una teoria in crisi.
Ecco una descrizione del Prof. Michael Denton, biochimico australiano e noto critico del darwinismo. Nel suo libro Evolution: A Theory in Crisis (1985), Denton ha esaminato la teoria alla luce dei diversi rami della scienza e ha concluso che la teoria della selezione naturale è ben lontana dall’offrire una spiegazione della vita sulla terra. 6 L’intenzione di Denton nel presentare la sua critica, non era di dimostrare la correttezza di un altro punto di vista, ma solo di confrontare il darwinismo con i fatti scientifici. Nel corso degli ultimi due decenni, molti altri scienziati hanno pubblicato opere rilevanti che mettono in dubbio la validità della teoria dell’evoluzione di Darwin.
In questo libro esamineremo tale crisi. Indipendentemente dalla concretezza delle prove fornite, alcuni lettori non vorranno abbandonare le proprie posizioni e continueranno ad aderire alla teoria dell’evoluzione. Leggere questo libro, però, sarà in ogni caso utile anche per loro, dal momento che li aiuterà a vedere la vera situazione della teoria in cui credono, alla luce delle scoperte scientifiche.
 

I MECCANISMI DEL DARWINISMO


Secondo la teoria dell’evoluzione, gli esseri viventi giunsero all’esistenza per coincidenza e si svilupparono ulteriormente come conseguenza di effetti fortuiti. Circa 3,8 miliardi di anni fa, quando sulla terra non esisteva alcun essere vivente, comparvero i primi semplici organismi unicellulari (procarioti). Nel corso del tempo giunsero all’esistenza cellule più complesse (eucarioti) e organismi pluricellulari. In altre parole, secondo il darwinismo, le forze della natura trasformarono semplici elementi inanimati in progetti molto complessi e perfetti.
Nel valutare questa affermazione, bisogna prima considerare se tali forze esistono realmente in natura. Più esplicitamente, ci sono meccanismi veramente naturali che possono realizzare l’evoluzione secondo lo scenario del darwinismo?
Il modello neodarwinista, che prenderemo come la principale corrente della teoria dell’evoluzione oggi, ipotizza che la vita si è evoluta attraverso due meccanismi naturali: la selezione naturale e la mutazione. La teoria fondamentalmente afferma che selezione naturale e mutazione sono due meccanismi complementari. L’origine delle modificazioni evolutive sta nelle mutazioni casuali che ebbero luogo nelle strutture genetiche degli esseri viventi. I caratteri apportati dalle mutazioni sono selezionati dal meccanismo della selezione naturale e per mezzo di ciò gli esseri viventi si evolvono. Se, però, guardiamo meglio questa teoria, scopriamo che non esiste alcun meccanismo evolutivo questori questo genere. Né selezione naturale né mutazioni possono far sì che una specie si evolva in un’altra, diversa, e l’affermazione secondo cui ciò è possibile è del tutto infondata.
Selezione naturale
Il concetto di selezione naturale era alla base del darwinismo. Questa affermazione è sottolineata anche nel titolo del libro in cui Darwin propose la sua teoria: Sull'origine delle specie per mezzo della selezione naturale…
La selezione naturale si basa sull’assunto secondo cui in natura ci sarebbe una costante lotta per la sopravvivenza e che i più forti, quelli più adatti alle condizioni naturali, sopravvivono. Per esempio, in una mandria di cervi minacciata dai predatori, in genere sopravvivrebbero quelli che corrono più velocemente. Alla fine la mandria di cervi consisterà solo di individui che corrono velocemente.
Per quanto tempo vada avanti questo processo, esso non trasformerà questi cervi in un’altra specie. I cervi deboli sono eliminati, i forti sopravvivono, ma siccome non ha luogo alcuna alterazione nei loro dati genetici, non avviene alcuna trasformazione della specie. Nonostante i continui processi di selezione, i cervi continuano a essere cervi.
L’esempio del cervo vale per tutte le specie. In ogni popolazione, per mezzo della selezione naturale, solo gli individui deboli o non adatti, incapaci di adattarsi alle condizioni naturali del loro habitat, sono eliminati. Nessuna nuova specie, nessuna informazione genetica, nessun nuovo organo possono essere prodotti. Cioè, la specie non può evolversi. Anche Darwin accettò questo fatto affermando che “la selezione naturale non può agire fin quando non compaiano differenze e variazioni individuali favorevoli”; ecco perché il neodarwinismo dovette aggiungere al concetto della selezione naturale il meccanismo della mutazione come fattore che altera le informazioni genetiche.7
Tratteremo successivamente le mutazioni. Ma prima di procedere dobbiamo esaminare meglio il concetto di selezione naturale per vederne le contraddizioni interne.
La lotta per la sopravvivenza

Darwin era stato influenzato da Thomas Malthus quando sviluppò la tesi della lotta per la sopravvivenza. Ma osservazioni ed esperimenti dimostrarono che Malthus aveva torto.
L’assunto essenziale della teoria della selezione naturale sostiene che c’è una strenua lotta per la sopravvivenza in natura e che ogni essere vivente si preoccupa solo di se stesso. Al tempo in cui Darwin proponeva la sua teoria, era fortemente influenzato dalle idee di Thomas Malthus, l’economista classico britannico. Malthus sosteneva che gli esseri umani erano inevitabilmente in lotta costante per la sopravvivenza e basava le sue opinioni sul fatto che la popolazione, e quindi il bisogno di risorse alimentari, cresce geometricamente, mentre le riserve alimentari stesse crescono solo aritmeticamente. Il risultato è che le dimensioni della popolazione sono inevitabilmente controllate da fattori dell'ambiente come la fame e le malattie. Darwin adattò la visione di Malthus della strenua lotta per la sopravivenza tra gli esseri umani alla natura nel suo insieme e affermò che la “selezione naturale” è una conseguenza di questa lotta.
Ulteriori ricerche, però, hanno rivelato che non c’è alcuna lotta per la vita in natura come Darwin aveva postulato. Alla fine di ampie ricerche in gruppi di animali negli anni ’60 e ’70, V. C. Wynne-Edwards, uno zoologo britannico, concluse che gli esseri viventi equilibrano la popolazione in un modo molto interessante che impedisce la concorrenza per il cibo.
I gruppi di animali studiati semplicemente gestivano la loro popolazione in base alle risorse alimentari. La popolazione non era regolata attraverso l’eliminazione dei deboli per mezzo di fattori come epidemie o fame ma da istintivi meccanismi di controllo. In altre parole, gli animali non controllavano il proprio numero per mezzo di una strenua competizione, come suggeriva Darwin, ma limitando la riproduzione. 8
Anche le piante mostrano esempi di controllo della popolazione che invalida il suggerimento di Darwin della selezione per mezzo della competizione. Le osservazioni del botanico A. D. Bradshaw hanno indicato che, durante la riproduzione, le piante si comportavano secondo la "densità" della piantagione e limitavano la riproduzione se l'area era densamente popolata da piante.9 D'altro canto, esempi di sacrifici osservati tra animali come formiche e api, mostrano un modello completamente opposto alla lotta per la sopravvivenza darwinista.
In anni recenti, la ricerca ha fatto altre scoperte a proposito del sacrificio di sé, persino tra i batteri. Questi esseri viventi, senza cervello o sistema nervoso, completamente privi di qualsiasi capacità di pensiero, si uccidono per salvare altri batteri quando sono invasi da virus.10
Questi esempi sicuramente invalidano l’assunto di base della selezione naturale – la lotta assoluta per la sopravvivenza. È vero che c’è competizione in natura, ma ci sono anche chiari modelli di sacrificio di sé.
Osservazioni ed esperimenti
Al di là della debolezza teorica citata in precedenza, la teoria dell’evoluzione per selezione naturale si trova davanti a un’impasse fondamentale quando è messa di fronte alle scoperte scientifiche concrete. Il valore scientifico di una teoria deve essere valutato secondo il successo o il fallimento negli esperimenti e nelle osservazioni. L’evoluzione per selezione naturale fallisce da entrambi i punti di vista.
Sin dai tempi di Darwin, non è stata presentata la minima prova che dimostri che gli esseri viventi si evolvono attraverso la selezione naturale. Colin Patterson, il paleontologo con più anzianità presso il British Museum of Natural History di Londra e prominente evoluzionista, sottolinea che non è stato mai osservato che la selezione naturale fosse in grado di far sì che le cose si evolvessero.
Nessuno ha mai prodotto una specie con i meccanismi della selezione naturale. Nessuno vi si è mai neppure avvicinato e ciò rappresenta la questione di maggior discussione nell'ambito del neodarwinismo.11
Pierre-Paul Grassé, un famoso zoologo francese e critico del darwinismo, ha da dire questo in “evoluzione e selezione naturale," un capitolo del suo libro L' evolution du vivant.
La “evoluzione in azione” di J. Huxley e altri biologi è semplicemente l’osservazione di fatti demografici, fluttuazioni locali di genotipi, distribuzioni geografiche. Spesso le specie interessate sono invariate da centinaia di secoli. La fluttuazione come risultato di circostanze, con previa modificazione del genoma, non implica l’evoluzione e abbiamo prove tangibili di ciò in molte specie pancroniche [cioè fossili viventi rimasti invariati da milioni di anni].12
Uno sguardo attento ad alcuni “esempi osservati di selezione naturale” presentati da biologi che sostengono la teoria dell’evoluzione, rivelerebbe che, in realtà, essi non forniscono alcuna prova della teoria dell’evoluzione.
La vera storia del melanismo industriale
Quando si esaminano le fonti evoluzioniste, si vede come l’esempio delle falene in Inghilterra durante la rivoluzione industriale venga sempre citato come esempio dell’evoluzione per selezione naturale. Questo è presentato come il più concreto esempio osservato dell’evoluzione in libri di testo, riviste e persino fonti accademiche. In realtà, però, quell’esempio non ha assolutamente niente a che fare con l’evoluzione.
Ricordiamo prima di tutto che cosa si dice: secondo questa versione, all’inizio della rivoluzione industriale il colore delle cortecce degli alberi nell'area di Manchester sarebbe stato abbastanza chiaro. Per questo motivo, le falene di colore scuro che si posavano su questi alberi potevano essere facilmente avvistate dagli uccelli che se ne cibavano e, di conseguenza, avevano possibilità di sopravvivenza molto scarse. Cinquant‘anni dopo, nei boschi in cui l'inquinamento industriale aveva ucciso i licheni di colore chiaro, le cortecce degli alberi si erano scurite e le falene di colore chiaro divennero le prede più cacciate perché erano quelle più facilmente notate. Di conseguenza il rapporto tra falene di colore chiaro e quelle di colore scuro si invertì.
L’immagine a sinistra mostra alberi con sopra falene prima della rivoluzione industriale, mentre l’immagine a destra le mostra in una data successiva. Poiché gli alberi erano diventati più scuri, gli uccelli erano facilmente in grado di catturare le falene più chiare e il loro numero diminuì. Questo, però, non è un esempio di “evoluzione” perché non emerse alcuna nuova specie, tutto ciò che avvenne fu il cambio del rapporto tra due tipi già esistenti di una specie già esistente.
Gli evoluzionisti credono che questa sia una prova di grande importanza per la loro teoria. Essi trovano rifugio e provano sollievo mostrando, con arte vetrinistica, il modo in cui le falene di colore chiaro "si erano evolute" nelle altre di colore scuro.
Anche se si accetta una tale versione dei fatti, però, deve essere chiaro che questi non possono essere usati in alcun modo come prova della teoria dell'evoluzione: non compare alcuna nuova forma che non esisteva in precedenza. Le falene di colore scuro erano esistite prima della rivoluzione Industriale. Solo le proporzioni relative alle diverse varietà della popolazione cambiarono. Le falene non avevano acquisito nuovi caratteri o nuovi organi tali da causare una "speciazione”13. Perché una falena si tramuti in un'altra specie vivente, ad esempio in un uccello, si dovrebbero realizzare nuove aggiunte ai suoi geni. Si sarebbe dovuto, cioè, caricare un programma genetico del tutto diverso, tale da includere informazioni contenenti le caratteristiche fisiche degli uccelli.
Questa è la risposta da dare alla storia evoluzionista del melanismo industriale. C’è, però, un lato più interessante della vicenda: non solo l’interpretazione, ma la storia stessa è errata. Come spiega il biologo molecolare Jonathan Wells nel suo libro Icone dell’evoluzione, la storia delle falene attaccate, che è inclusa praticamente in ogni libro di biologia evolutiva, diventando quindi una “icona”, non riflette la verità. Wells, nel suo libro, discute in che modo l’esperimento di Bernard Kettlewell, noto come la “prova sperimentale” della storia, costituisce in realtà uno scandalo scientifico. Alcuni elementi di base di questo scandalo sono:
• Molti esperimenti, condotti dopo quello di Kettlewell, rivelarono che solo un tipo di queste falene rimaneva sui tronchi degli alberi e tutti gli altri tipi preferivano restare sotto i rami orizzontali. Dagli anni Ottanta è largamente accettato che le falene molto raramente restano sui tronchi degli alberi. In 25 anni di lavoro sul campo, molti scienziati, come Cyril Clarke e Rory Howlett, Michael Majerus, Tony Liebert Paul Brakefield, hanno concluso che nell’esperimento di Kettlewell le falene furono costrette ad agire in modo atipico, quindi il risultato della prova non poteva essere accettato come scientifico. 14
• Gli scienziati che hanno messo alla prova le conclusioni di Kettlewell hanno raggiunto un risultato ancora più interessante: sebbene ci si sarebbe aspettato che il numero di falene chiare fosse più alto nelle regioni meno inquinate dell'Inghilterra, in quelle regioni le falene scure erano quattro volte più numerose di quelle chiare. Questo indicava che non c’era alcuna correlazione tra il rapporto nella popolazione di falene e i tronchi degli alberi, come sostenuto da Kettlewell e ripetuto da quasi tutte le fonti evoluzioniste.
• Man mano che la ricerca si approfondiva, lo scandalo cambiava dimensioni: “le falene sui tronchi degli alberi”, fotografate da Kettlewell, erano in realtà falene morte. Kettlewell usava esemplari morti, incollati o spillati sui tronchi degli alberi e poi fotografati. In verità sarebbe stato difficile riprendere l’immagine di falene che stavano non sui tronchi degli alberi ma sotto i rami.15
Questi fatti furono scoperti dalla comunità scientifica solo alla fine degli anni Novanta. Il crollo del mito del melanismo industriale, che per decenni era stato uno degli argomenti più valorizzati nei corsi universitari di “introduzione all’evoluzione”, dispiacque molto agli evoluzionisti. Uno di loro, Jerry Coyne, commentò:
la mia reazione somiglia alla delusione che seguì la scoperta, quando avevo sei anni, che era mio padre e non Babbo Natale a portare i regali la notte di Natale.16
Così “il più famoso esempio di selezione naturale” fu relegato nei cumuli di immondizia della storia come uno scandalo scientifico. Uno scandalo inevitabile, perché la selezione naturale non è un “meccanismo evolutivo” al contrario di quanto affermano gli evoluzionisti.
In breve, la selezione naturale non ha la capacità di aggiungere un nuovo organo a un organismo vivente, né di eliminarlo o di mutare l’organismo di una specie in quello di un'altra. La "più grande" prova avanzata a partire dall'epoca di Darwin non è stata in grado di andare oltre il "melanismo industriale" delle falene in Inghilterra.
Perché la selezione naturale non può spiegare la complessità
Come abbiamo dimostrato all’inizio, il problema maggiore per la teoria dell’evoluzione per selezione naturale è che nuovi organi o caratteri non possono emergere negli esseri viventi attraverso la selezione naturale. I dati genetici di una specie non si sviluppano per mezzo della selezione naturale, quindi essa non può essere usata per spiegare l’emergere di una nuova specie. Il più strenuo difensore degli equilibri punteggiati, Stephen Jay Gould, fa riferimento a questa impasse della selezione naturale:
L'essenza del darwinismo è riassunta in una singola frase: la selezione naturale è la forza creativa del cambiamento evolutivo. Nessuno nega che la selezione naturale abbia un ruolo negativo nell'eliminazione del non adatto. Le teorie di Darwin richiedono che crei anche l'adatto.17
Un altro dei metodi fuorvianti usati dagli evoluzionisti quando trattano il problema della selezione naturale è il tentativo di presentare questo meccanismo come se fosse un progettista intelligente. La selezione naturale, però, non ha intelligenza. Non possiede una volontà che possa decidere ciò che è bene e ciò che è male per gli esseri viventi. Il risultato è che la selezione naturale non può spiegare in che modo i sistemi biologici e gli organi che hanno la caratteristica di "irriducibile complessità" siano giunti all'esistenza. Questi sistemi e organi sono composti da un gran numero di parti che collaborano assieme, e sono inutilizzabili se una di queste parti è mancante o difettosa (per esempio, l'occhio umano non funziona se non esiste con tutte le sue componenti intatte).
La volontà che mette insieme tutte queste parti, perciò, deve essere in grado di prevedere il futuro e mirare direttamente al vantaggio da raggiungere allo stadio finale. Poiché la selezione naturale non ha né consapevolezza o volontà, non può fare nulla di ciò. Questo fatto, che demolisce le basi della teoria dell'evoluzione, preoccupava anche Darwin, che scrisse: "Se si potesse dimostrare l'esistenza di un qualsiasi organo complesso che non abbia potuto essere formato attraverso modificazioni numerose, successive, lievi, la mia teoria dovrebbe assolutamente cadere."18
Mutazioni
Un piede deformato, prodotto di mutazione.
Le mutazioni sono definite come rotture o sostituzioni che avvengono nella molecola del DNA, che si trova nel nucleo delle cellule di un organismo vivente e contiene tutte le informazioni genetiche. Queste rotture o sostituzioni sono il risultato di effetti esterni quali le radiazioni o l'azione chimica. Ogni mutazione è un "incidente" che può danneggiare i nucleotidi che costituiscono il DNA o cambiarne la collocazione. Nella maggioranza dei casi, causano danni e modifiche tali che la cellula non può porvi rimedio.
Le mutazioni, dietro cui gli evoluzionisti spesso si nascondono, non trasformano gli organismi viventi in forme più avanzate e perfette. L'effetto diretto delle mutazioni è dannoso. I cambiamenti apportati dalle mutazioni possono essere equiparati solo a quelli subiti dagli abitanti di Hiroshima, Nagasaki e Chernobyl: cioè, morte e invalidità…
Il motivo è molto semplice: il DNA ha una struttura molto complessa e gli effetti casuali possono solo danneggiarla. Il biologo B. G. Ranganathan afferma:
Per prima cosa, le vere mutazioni sono molto rare in natura. In secondo luogo, quasi tutte le mutazioni sono dannose perché sono modifiche casuali, piuttosto che ordinate, alla struttura dei geni; ogni modifica casuale in un sistema altamente ordinato sarà per il peggio e non per il meglio. Per esempio, se un terremoto scuotesse una struttura altamente ordinata come un edificio, ci sarebbe una modifica casuale alla struttura dell’edificio stesso che, con ogni probabilità, non sarebbe un miglioramento. 19
Non sorprende che finora non sia mai stata osservata alcuna mutazione vantaggiosa. Tutte le mutazioni si sono dimostrate dannose. Lo scienziato evoluzionista Warren Weaver commenta la relazione stilata dalla Commissione sugli Effetti Genetici delle Radiazioni Atomiche, istituita per investigare le mutazioni provocate dalle armi atomiche utilizzate durante la Seconda Guerra Mondiale:
Molti saranno sconcertati dall'affermazione secondo cui, in pratica, tutti i geni mutanti noti sono dannosi. Perché le mutazioni sono una parte necessaria del processo dell’evoluzione. Come può un buon effetto – un'evoluzione verso forme superiori di vita – derivare da mutazioni che in pratica sono tutte dannose?20
Sin dagli inizi del ventesimo secolo, i biologi evoluzionisti hanno cercato esempi di mutazioni benefiche creando mosche mutanti. Ma questi tentativi hanno sempre avuto come risultato creature malate e deformi. L’immagine che precede a sinistra mostra la testa di una normale moscerino della frutta e l’immagine a destra la testa di una moscerino della frutta con le zampe che escono da essa, risultato di mutazione.
Ogni sforzo compiuto per "generare mutazioni vantaggiose" è sfociato in un fallimento. Per decenni, gli evoluzionisti hanno condotto molti esperimenti per produrre mutazioni nei moscerini della frutta, poiché questi insetti si riproducono molto rapidamente e quindi le mutazioni compaiono rapidamente. Generazione dopo generazione, queste mosche sono mutate, tuttavia non è stata mai osservata alcuna mutazione vantaggiosa. Il genetista evoluzionista Gordon Taylor scrisse così:
È un fatto sorprendente, ma non molto citato, che sebbene i genetisti allevino moscerini della frutta da sessanta anni o più in tutto il mondo – mosche che producono nuove generazioni ogni undici giorni - non hanno mai visto emergere una sola nuova specie distinta e nemmeno un nuovo enzima.21

Rane mutanti nati con gambe disabile.
Un altro ricercatore, Michael Pitman, commenta il fallimento degli esperimenti svolti sui moscerini della frutta:
Morgan, Goldschmidt, Muller e altri genetisti hanno sottoposto generazioni di moscerini della frutta a condizioni estreme di caldo, freddo, luce, oscurità e a trattamenti con prodotti chimici e radiazioni. È stata prodotta ogni sorta di mutazione, praticamente tutte mutazioni insignificanti o addirittura deleterie. Evoluzione prodotta dall'uomo? In realtà no: pochi dei mostri creati dai genetisti avrebbero potuto sopravvivere al di fuori delle bottiglie nelle quali erano stati allevati. In pratica i mutanti muoiono, sono sterili o tendono a ritornare al tipo presente in natura.22
Lo stesso discorso vale anche per l'uomo. Tutte le mutazioni che sono state osservate negli esseri umani sono risultate deleterie. Tutte le mutazioni che hanno luogo negli esseri umani hanno come risultato deformità fisiche, infermità come *mongolismo, sindrome di Down, albinismo, nanismo o cancro. Inutile dire che un processo che lascia gli esseri umani invalidi o infermi non può essere un "meccanismo evolutivo" – si suppone che l'evoluzione produca forme migliori più adatte alla sopravvivenza.

Una mosca mutante con ali deformate.
Il patologo americano David A. Demick nota quanto segue in un articolo scientifico sulle mutazioni:
Letteralmente migliaia di patologie umane associate alle mutazioni genetiche sono state catalogate in anni recenti e se ne descrivono sempre di più. Un recente volume di riferimento di genetica medica elenca circa 4500 diverse malattie genetiche. Alcune delle sindromi ereditarie caratterizzate clinicamente nei tempi precedenti all’analisi genetica molecolare (come la sindrome di Marfan) si presentano ora come eterogenee; cioè associate a molte diverse mutazioni… Con questo insieme di malattie umane provocate dalle mutazioni, che ne è degli effetti positivi? Con migliaia di esempi di mutazioni dannose prontamente disponibili, sicuramente sarebbe possibile descrivere alcune mutazioni positive se la macroevoluzione fosse vera. Queste sarebbero necessarie non solo per l’evoluzione verso una maggiore complessità, ma anche per controbilanciare la spinta verso il basso delle mutazioni dannose. Ma, quando si giunge a identificare le mutazioni positive, gli scienziati evoluzionisti sono stranamente silenziosi.23
Il solo esempio che i biologi evoluzionisti danno di “mutazione vantaggiosa” è la malattia nota come anemia falciforme. In questa, la molecola di emoglobina, che serve a trasportare l’ossigeno nel sangue, viene danneggiata come risultato di una mutazione e subisce una modifica strutturale. Ne consegue che la capacità della molecola di emoglobina di trasportare ossigeno è seriamente compromessa. Per questo motivo, le persone affette da anemia falciforme soffrono di crescenti difficoltà respiratorie. Questo esempio di mutazione, discusso tra le malattie del sangue nei testi medici, è stranamente valutato da alcuni biologi evoluzionisti come “mutazione vantaggiosa”. Essi affermano che la parziale immunità alla malaria da parte di persone affette da questa malattia è un “dono” dell’evoluzione. Usando la stessa logica, si potrebbe dire che, poiché le persone nate con paralisi genetica alle gambe sono incapaci di camminare, e quindi sono immuni dall'essere uccise in incidenti stradali, la paralisi genetica alle gambe è una "caratteristica genetica vantaggiosa". Questa logica è chiaramente del tutto infondata.

La forma e le funzioni dei globuli rossi sono compromesse nell’anemia. Per questo motivo le loro capacità di trasportare ossigeno sono indebolite
È ovvio che le mutazioni sono un meccanismo esclusivamente distruttivo. Pierre-Paul Grassé, ex presidente dell’Accademia francese delle scienze, si è espresso chiaramente su questo punto, parlando di mutazioni. Grassé ha paragonato le mutazioni a "errori di ortografia commessi copiando un testo scritto". E come nel caso nelle mutazioni, gli errori di ortografia non possono dare origine ad alcuna informazione ma solo danneggiare informazioni che già esistono. Grassé lo ha spiegato così:
Le mutazioni, nel tempo, si verificano in modo incoerente. Non sono complementari fra di loro, né procedono in maniera cumulativa in generazioni successive verso una data direzione. Modificano il preesistente, ma lo fanno in modo disordinato, non importa come… Appena un tipo di disordine, anche piccolo, compare in un essere organizzato, segue la malattia, poi la morte. Non c’è alcun compromesso possibile tra i fenomeni della vita e l’anarchia. 24
Quindi, per tale motivo, come dice Grassé “non importa quanto numerose siano, le mutazioni non producono alcun tipo di evoluzione25.
L’effetto pleiotropico
La prova più importante del fatto che le mutazioni portano solo danni è il processo della codificazione genetica. Quasi tutti i geni di un essere vivente portano con sé più di un‘informazione. Per esempio, lo stesso gene potrebbe controllare sia l’altezza che il colore degli occhi di quell’organismo. Il microbiologo Michael Denton spiega questa caratteristica dei geni negli organismi superiori, come gli esseri umani, in questo modo:
Gli effetti dei geni sullo sviluppo sono spesso sorprendentemente diversi. Nel topo domestico, quasi ogni gene del colore del manto ha un qualche effetto sulle dimensioni del corpo. Delle diciassette mutazioni al colore degli occhi indotte da raggi x nel moscerino della frutta, Drosophila melanogaster, quattordici influenzavano la forma degli organi sessuali della femmina, una caratteristica che si sarebbe pensato fosse assolutamente non collegata al colore degli occhi. È stato scoperto che quasi ogni gene studiato negli organismi superiori ha effetti su più di un sistema corporeo, un effetto multiplo noto come pleiotropia. Come sostiene Mayr in Evoluzione e varietà dei viventi: "La stessa esistenza di non pleiotropici negli organismi superiori è in dubbio”.26
1. Le ali non si sviluppano
2. Gli arti posteriori raggiungono la lunghezza completa ma le dita non si sviluppano completamente.
3. Non c’è alcuna soffice pelliccia di copertura.
4. Anche se c’è un passaggio respiratorio polmoni e sacche aeree sono assenti.
5. Il tratto urinario non cresce e non porta allo sviluppo dei reni.

A sinistra possiamo vedere lo sviluppo normale di un pollo domestico e a destra gli effetti dannosi di una mutazione nel gene pleiotropico. Un attento esame dimostra che la mutazione di un solo gene danneggia molti organi diversi. Anche se ipotizziamo che la mutazione possa aver avuto un effetto benefico, questo "effetto pleiotropico” avrebbe eliminato il vantaggio danneggiando molti organi.

A causa di questa caratteristica della struttura genetica degli esseri viventi, qualunque modifica fortuita indotta da una mutazione, in qualsiasi gene del DNA, influenzerebbe più di un organo. Di conseguenza tale mutazione non sarebbe limitata a una parte del corpo, ma rivelerebbe più di un impatto distruttivo. Anche se uno di questi impatti si dimostrasse vantaggioso, come risultato di una coincidenza molto rara, gli inevitabili effetti degli altri danni che esso causa supererebbero di gran lunga tali benefici.
Per riassumere ci sono tre buoni motivi per cui le mutazioni non possono rendere possibile l’evoluzione:
1- L'effetto diretto delle mutazioni è dannoso: Dal momento che avvengono in modo causale, quasi sempre danneggiano l’organismo vivente che le subisce. La ragione ci dice che l’intervento inconsapevole in una struttura perfetta e complessa non migliorerà tale struttura, piuttosto le recherà danno. In realtà non è mai stata osservata alcuna “mutazione vantaggiosa”.
2- Le mutazioni non aggiungono alcuna nuova informazione al DNA di un organismo. Le particelle che costituiscono le informazioni genetiche sono tolte dal loro posto, distrutte o spostate in posti diversi. Le mutazioni non possono far sì che un essere vivente acquisisca un nuovo organo o una nuova caratteristica. Possono solo causare anomalie come una gamba attaccata al dorso o un orecchio che esce dall’addome.
3- Perché una mutazione sia trasferita alla generazione successiva, essa deve aver avuto luogo nelle cellule riproduttive dell’organismo. Una modifica casuale che avviene in una cellula o in un organo dell’organismo non può essere trasferita alla generazione successiva. Per esempio, un occhio umano alterato dagli effetti di radiazioni o da altre cause, non sarà trasferito alle generazioni successive.

Il bacillo Escherichia coli non è diverso dal batteri esemplari di miliardi di anni.
Le mutazioni innumerevoli nel corso di questo lungo periodo non hanno portato a qualsiasi cambiamento strutturale..
Tutte le spiegazioni fornite in precedenza indicano che la selezione naturale e la mutazione non hanno alcun effetto evolutivo. Finora non si è riscontrato alcun esempio osservabile di "evoluzione” ottenuta con questo metodo. A volte, i biologi evoluzionisti affermano che “non è possibile osservare l’effetto evolutivo dei meccanismi della selezione naturale e della mutazione perché tali meccanismi avvengono solo nel corso di un lungo periodo di tempo. Questa argomentazione, però, che è solo un modo per farli sentire meglio, è priva di basi nel senso che manca di fondamenta scientifiche. Nel corso della vita, uno scienziato può osservare migliaia di generazioni di esseri viventi con vite brevi come i moscerini della frutta e i batteri e comunque non osserva alcuna "evoluzione”. Circa la natura immutabile dei batteri, un fatto che invalida l’evoluzione, Pierre-Paul Grassé afferma quanto segue:
i batteri…sono organismi che, a causa del loro enorme numero, producono la maggior parte dei mutanti. I batteri ...mostrano una grande fedeltà alla propria specie. Il bacillo Escherichia coli, i cui mutanti sono stati attentamente studiati, è l’esempio migliore. Il lettore sarà d’accordo sul fatto che è a dir poco sorprendente voler provare l’evoluzione e scoprirne i meccanismi e poi scegliere come materiale di studio un essere che è praticamente stabile da miliardi di anni. A che servono le loro incessanti mutazioni se non producono alcuna modifica evolutiva? Insomma le mutazioni di batteri e virus sono solo fluttuazioni ereditarie intorno a una posizione mediana, un‘oscillazione a destra, una oscillazione a sinistra ma senza alcun effetto evolutivo finale. Le blatte, che sono uno dei gruppi di insetti più antichi, sono rimaste più o meno invariate dal Permiano tuttavia hanno subito tante mutazioni quante la Drosophila, un insetto del Terziario. 27
In breve è impossibile che gli esseri viventi si siano evoluti perché in natura non esiste alcun meccanismo che causi l’evoluzione. Inoltre questa conclusione va d’accordo con la prova dei reperti fossili che non dimostra l’esistenza di un processo evolutivo ma piuttosto proprio il contrario.

LA VERA STORIA NATURALE - I DAGLI INVERTEBRATI AI RETTILI

Per alcuni, il concetto stesso di storia naturale implica l’evoluzione. Il motivo è la forte propaganda che è stata fatta. Nella maggior parte dei paesi, i musei di scienze naturali sono sotto il controllo di biologi evoluzionisti materialisti e sono loro a descrivere quello che c’è in mostra. Invariabilmente essi descrivono le creature che vissero nella preistoria e i loro resti fossili in termini di concetti darwinisti. Un risultato di ciò è che la maggior parte della gente pensa che il concetto di storia naturale sia equivalente a quello di evoluzione.
I fatti, però, sono molto diversi. La storia naturale rivela che classi diverse della vita emersero sulla terra non attraverso un processo evolutivo ma tutte in una volta con tutte le loro complesse strutture pienamente sviluppate sin dall’inizio. Specie viventi diverse comparvero in modo del tutto indipendente l’una dall’altra e senza alcuna "forma di transizione” tra loro.
In questo capitolo esamineremo la vera storia naturale prendendo i reperti fossili come base.
La classificazione degli esseri viventi
I biologi pongono gli esseri viventi in diverse classi. Questa classificazione, detta “tassonomia” o sistematica”, risale allo scienziato svedese del diciottesimo secolo Carl von Linné, noto come Linneo. Il sistema di classificazione creato da Linneo ha continuato e si è sviluppato fino ai giorni nostri.
Nel sistema di classificazione ci sono categorie gerarchiche. Gli esseri viventi sono per prima cosa divisi in regni, come il regno vegetale e quello animale. Questi regni sono poi divisi in phyla o categorie. I phyla sono a loro volta divisi in sottogruppi. Dall’alto verso il basso, la classificazione è quella che segue:
Regno
Phylum (plurale phyla)
Classe
Ordine
Famiglia
Genere (plurale generi)
Specie
Oggi la maggior parte dei biologi accetta che ci siano cinque (o sei) regni separati. Oltre a piante e animali considerano i funghi, i protisti (creature unicellulari con un nucleo come le amebe e alcune alghe) e monera (creature unicellulari senza nucleo come i batteri) come regni separati. A volte i batteri sono suddivisi in eubatteri e archeobatteri per sei regni o, secondo alcuni, tre “super-regni” (eubatteri, archeobatteri e eucariote). Il più importante di questi regni è senza dubbio quello animale. E la divisione più alta nell’ambito del regno animale, come visto in precedenza, è quella tra i diversi phyla. Quando si definiscono questi phyla, deve essere tenuto presente il fatto che ciascuno possiede strutture fisiche completamente diverse. Gli Artropodi (insetti, ragni e altre creature con zampe articolate), per esempio, sono un phylum a sé e tutti gli animali del phylum hanno la stessa fondamentale struttura fisica. Il phylum dei Cordati comprende le creature dotate di notocorda, più comunemente nota come corda dorsale. Tutti gli animali con la corda dorsale comei pesci, gli uccelli e i mammiferi che sono familiari nella vita di ogni giorno, appartengono al sub-phylum dei Cordati noto come vertebrati.
Ci sono circa 35 phyla diversi di animali compresi i Molluschi che includono creature dal corpo molle come lumache e polipi o i Nematodi che comprendono piccoli vermi. La caratteristica più importante di queste categorie, come accennato prima, è che posseggono caratteristiche fisiche totalmente diverse. Le categorie un appartenenti a uno stesso phylum posseggono fondamentalmente un progetto corporeo simile, ma i phyla sono molto diversi l’uno dall’altro.
Dopo queste informazioni generali sulla classificazione biologica, consideriamo ora il problema di come e quando questi phyla emersero sulla terra.
I fossili smentiscono “l’albero della vita”.

Il cosiddetto "albero della vita" disegnato dal biologo evoluzionista Ernst Haeckel nel 1866.
Per prima cosa consideriamo l’ipotesi darwinista. Come sappiamo, Darwin propose che la vita si fosse sviluppata da un solo antenato comune e che avesse assunto tutte le varietà attraverso una serie di piccolissimi cambiamenti. In tal caso, la vita sarebbe dovuta emergere prima in forme molto simili e semplici. E, secondo la stessa teoria, la differenziazione tra gli esseri viventi e la loro crescente complessità devono essere avvenute parallelamente nel corso del tempo.
In breve, secondo Darwin, la vita deve essere come un albero con una radice comune che poi si è diviso in rami diversi. E questa ipotesi è costantemente enfatizzata nelle fonti darwiniste che usano di frequente il concetto di “albero della vita”. Secondo questo concetto di albero, i phyla - le unità fondamentali della classificazione tra esseri viventi - vennero fuori per fasi, come nel diagramma a sinistra. Secondo il darwinismo, un phylum deve prima emergere e poi gli altri devono lentamente venir fuori con minimi cambiamenti nel corso di lunghissimi periodi di tempo. L’ipotesi darwinista è che il numero di phyla animali deve essere gradualmente cresciuto. Il diagramma a lato mostra il graduale aumento di numero di phyla animali secondo la visione darwinista.
Secondo Darwin la vita deve essersi sviluppata in questo modo. Ma è andata veramente così?
Assolutamente no. Proprio al contrario: gli animali sono stati molto diversi e complessi sin dal momento in cui emersero per la prima volta. Tutti i phyla animali conosciuti oggi emersero allo stesso tempo, alla metà del periodo geologico noto come periodo Cambriano. Il periodo Cambriano è un periodo geologico che si stima sia durato circa 65 milioni di anni tra 570 e 505 milioni di anni fa. Ma l’epoca dell’improvviso apparire dei maggiori gruppi animali rientra in una fase ancora più breve del Cambriano spesso detto la “esplosione cambriana”. Stephen C. Meyer, P. A. Nelson, e Paul Chien, in un articolo del 2001 basato su una dettagliata indagine letteraria, notarono che la “esplosione cambriana avvenne in una finestra eccezionalmente stretta del tempo geologico che durò non più di 5 milioni di anni".28
I REPERTI FOSSILI CONFUTANO LA TEORIA DELL'EVOLUZIONE

La teoria dell'evoluzione sostiene che gruppi diversi di esseri viventi (phyla) si svilupparono da un antenato comune e crebbero separatamente col passar del tempo, come afferma il diagramma che precede.. Secondo il darwinismo, gli esseri viventi si differenziarono l'uno dall'altro come i rami di un albero.


Ma i reperti fossili dimostrano proprio il contrario. Come si può vedere nel diagramma che segue, gruppi diversi di esseri viventi emersero all'improvviso con le loro diverse strutture. Circa 100 phyla comparvero improvvisamente nel periodo Cambriano. Successivamente, il numero diminuì piuttosto che crescere (perché alcuni phyla si estinsero).
Prima di allora non c’è traccia nei reperti fossili se non di creature unicellulari e di alcune pluricellulari molto primitive. Tutti i phyla animali comparvero completamente formati tutti in una volta in un periodo molto breve rappresentato dalla esplosione cambriana (cinque milioni di anni è un periodo molto breve in termini geologici)!
I fossili rivenuti nelle rocce cambriane appartengono a creature diverse come lumache, trilobiti, spugne, meduse, stelle marine, molluschi, ecc. La maggior parte delle creature di questo strato hanno sistemi complessi e strutture avanzate come occhi, branchie e sistemi circolatori esattamente come quelli degli esemplari viventi. Queste strutture sono molto avanzate e allo stesso tempo molto diverse.
Richard Monastersky, un redattore della rivista ScienceNews, afferma quanto segue a proposito della "esplosione cambriana” che è una trappola mortale per la teoria evolutiva:
Mezzo miliardo di anni fa,… comparve all’improvviso la forma notevolmente complessa di animali che vediamo oggi. Questo momento, proprio all’inizio del periodo Cambriano, circa 550 milioni di anni fa, segna l’esplosione evolutiva che ha riempito i mari con le prime creature complesse del mondo. 29
Lo stesso articolo cita anche Jan Bergström, un paleontologo che ha studiato i primi depositi Cambriani a Chengjiang, in Cina dicendo: la fauna di Chengjiang dimostra che i grandi phyla animali di oggi erano già presenti all’inizio del Cambriano e che erano distinti come lo sono oggi. 30

La figura ritrae esseri viventi con strutture complesse del periodo Cambriano. L'emergere di creature tanto diverse, senza alcun antenato comune, invalida completamente la teoria darwinista.
In che modo la terra fu invasa da un così gran numero di specie animali tutto in una volta e come queste specie diverse senza alcun antenato comune potessero essere emerse è una domanda che resta senza risposta da parte degli evoluzionisti. Lo zoologo Richard Dawkins, dell’Università di Oxford, uno dei maggiori sostenitori al mondo dell’evoluzione, commenta questa realtà che mina alle fondamenta tutti gli argomenti che egli è andato difendendo:
per esempio di strati roccia cambriana… sono i più antichi in cui troviamo la maggior parte dei maggiori gruppi di invertebrati. E troviamo molti di essi in uno stadio di evoluzione avanzato, la prima volta che comparvero. È come se fossero semplicemente piantati lì, senza alcuna storia evolutiva. 31
Phillip Johnson, professore all’Università californiana di Berkeley, che è anche uno dei più famosi critici mondiali del darwinismo, descrive la contraddizione tra questa verità paleontologica e il darwinismo:
La teoria darwinista prevede un “cono di crescente diversità”, con il primo organismo vivente o la prima specie animale, che si diversificava gradualmente e continuamente fino a creare i livelli superiori dell’ordine tassonomico. Il reperto fossile animale somiglia più a questo cono rovesciato, con i phyla presenti all’inizio e che poi vanno decrescendo. 32

Un fossile del periodo Cambriano.
Come ha rivelato Phillip Johnson, lungi dall’essere vero che i phyla sono venuti fuori a fasi, in realtà essi vennero all’esistenza all’improvviso, e alcuni si estinsero persino nei periodi successivi. I diagrammi a pagina 610 mostrano la verità che il reperto fossile ha rivelato riguardo all’origine dei phyla.
Come si può vedere, nell Precambriano c’erano tre phyla differenti che consistevano di creature unicellulari. Ma nel periodo Cambriano, emersero all’improvviso da 60 a 100 diversi phyla animali. Nell’era successiva, alcuni di questi phyla si estinsero, e solo alcuni sono giunti fino ai giorni nostri.
Roger Lewin discute questo fatto straordinario che demolisce totalmente tutte le ipotesi darwiniste sulla storia della vita:
Descritto di recente come “l’evento evolutivo più importante dell’intera storia mesozoica”, l’esplosione cambriana diede vita virtualmente a tutte le più importanti forme degli organismi animali - Baupläne o phyla — che sarebbero esistite successivamente, comprese molte che furono “sradicate” e si estinsero. In confronto con i circa 30 phyla esistenti, alcune persone stimano che l’esplosione cambriana possa averne generati fino a 100. 33

COLONNE DORSALI INTERESSANTI: una delle creature che comparvero all'improvviso nel periodo Cambriano è l'allucigenia che si vede in alto a sinistra. Come molti altri fossili cambriani ha colonne dorsali o gusci duri per proteggerlo degli attacchi dei nemici. La domanda a cui gli evoluzionisti non sono in grado di dare una risposta è "in che modo potevano avere un sistema di difesa così efficace quando non c'era alcun predatore nei dintorni?" La mancanza di predatori rende impossibile spiegare questo fatto in termini di selezione naturale.
Il letto fossile del Burgess Shale
Lewin continua a chiamare questo fenomeno straordinario dell’era Cambriana un “evento evolutivo”, a causa della fedeltà al darwinismo, ma è chiaro che le scoperte fino ad ora non possono essere spiegate con un approccio evolutivo.
Quello che è interessante è che nuovi ritrovamenti fossili rendono il problema del periodo Cambriano ancora più complicato. Nel numero di febbraio 1999, la rivista Trends in Genetics (TIG), un importante giornale scientifico, tratta questo argomento. In un articolo sul letto fossile di Burgess Shale della regione della Colombia Britannica, in Canada, si confessa che i reperti fossili in questa area non offrono alcun supporto alla teoria dell’evoluzione.
Marrella: una delle interessanti creature fossili trovate nel letto fossile Burgess Shale.
Il letto fossile di Burgess Shale è accettato come una delle più importanti scoperte paleontologiche dei nostri tempi. I fossili di molte specie diverse scoperti nel Burgess Shale comparvero sulla terra all’improvviso, senza che si fossero sviluppati da alcuna specie preesistente trovata negli strati precedenti. TIG esprime questo importante problema come segue:
Potrebbe sembrare strano che fossili di una piccola località, non importa quanto interessanti, si trovino al centro di un aspro dibattito su temi così ampi della biologia evolutiva. Il motivo è che gli animali irruppero nei reperti fossili con una profusione stupefacente durante il Cambriano, apparentemente dal nulla. Datazioni radiometriche sempre più precise e nuove scoperte fossili hanno solo precisato il carattere improvviso e l’ambito di questa rivoluzione biologica. L’enormità di questo cambiamento nel biota della Terra richiede una spiegazione. Sebbene siano state proposte molte ipotesi, l'idea generale è che nessuna è pienamente convincente. 34
Queste ipotesi “non totalmente convincenti” sono quelle dei paleontologi evoluzionisti. TIG cita due importanti autorità in questo contesto, Stephen Jay Gould e Simon Conway Morris. Entrambi hanno scritto libri per spiegare, dal punto di vista evoluzionista, l’ “improvvisa comparsa di esseri viventi”. Però, come evidenziato anche da TIG, né Wonderful Life di Gould né The Crucible of Creation: The Burgess Shale and the Rise of Animals di Simon Conway Morris hanno fornito una spiegazione per i fossili di Burgess Shale né per i fossili del periodo Cambriano in generale.
Apparizione simultanea di tutti i phyla
Un’indagine più approfondita dell’esplosione cambrianacambriana mostra quale grande dilemma essa crei per la teoria dell’evoluzione. Recenti scoperte indicano che quasi tutti i phyla, le divisioni animali più fondamentali, emersero all’improvviso nel periodo Cambriano. Un articolo pubblicato sulla rivista Science nel 2001 dice: "L’inizio del periodo Cambriano circa 545 milioni di anni fa, vide la comparsa improvvisa nei reperti fossili di quasi tutti i principali tipi di animali (phyla) che ancora oggi dominano il biota."35 Lo stesso articolo nota che perché gruppi viventi così complessi e distinti possano essere spiegati secondo la teoria dell'evoluzione, dovrebbero essere stati trovati letti fossili molto ricchi, che mostrino un processo di sviluppo graduale, ma questo non si è ancora avverato:
Questa evoluzione e dispersione differenziale, inoltre, deve aver richiesto una precedente storia del gruppo per la quale non c’è alcun reperto fossile. 36
Il quadro presentato dai fossili cambriani confuta chiaramente le ipotesi della teoria dell’evoluzione e offre forti prove del coinvolgimento di un essere “sovrannaturale” nella loro creazione. Douglas Futuyma, un eminente biologo evoluzionista, ammette tale realtà:
Gli organismi o sono comparsi sulla terra già completamente formati, oppure no. Se non lo erano, essi devono essersi sviluppati da specie preesistenti per mezzo di un processo di modificazione. Se apparvero in uno stato di completo sviluppo, devono essere stati creati da un‘intelligenza onnipotente".37
I reperti fossili indicano chiaramente che gli esseri viventi non si evolvettero da forme primitive ad avanzate, ma emersero invece all’improvviso in uno stato completamente formato. Ciò dimostra che la vita non giunse all’esistenza attraverso processi naturali casuali ma attraverso l’atto di una creazione intelligente. In un articolo dal titolo "The Big Bang of Animal Evolution" nell’importante rivista Scientific American, Jeffrey S. Levinton, Professore di Ecologia ed Evoluzione presso l’Università Statale di New York, accetta questa realtà, anche se a malincuore, dicendo “perciò, qualcosa di speciale e molto misterioso – qualche “forza” altamente creativa – esisteva. 38
I confronti molecolari approfondiscono l’impasse Cambriana dell’evoluzione
Un altro fatto che mette la teoria dell’evoluzione in profonda crisi quando si tratta dell’esplosione cambrianacambriana è il confronto genetico tra i diversi taxa viventi. I risultati di questi confronti rivelano che i taxa animali considerati “parenti stretti” dagli evoluzionisti fino a tempi recenti, sono in realtà geneticamente molto diversi. Ciò confuta totalmente l’ipotesi della “forma intermedia” che esiste solo in teoria. Un articolo pubblicato nella rivista statunitense Proceedings of the National Academy of Sciences, nel 2000, riporta che recenti analisi del DNA hanno riorganizzato i taxa che nel passato venivano considerati "forme intermedie":
L’analisi della sequenza del DNA suggerisce nuove interpretazioni dell’albero filogenico. I taxa, che si pensava rappresentassero gradi successivi della complessità alla base dell’albero metazoico, sono stati spostati in posizioni molto più alte all’interno dell’albero. Questo non lascia alcun “intermedio” evolutivo e ci costringe a ripensare la genesi della complessità bilaterale 39.
Nello stesso articolo gli scrittori evoluzionisti notano che i taxa, che erano considerati “intermedi” tra gruppi quali spunge, cnidarian e ctenofori, non possono più essere considerati tali a causa di queste nuove scoperte genetiche. Questi scrittori dicono di aver “perso la speranza” di costruire questi alberi di famiglie evolutive.
La nuova filogenia basata sulla molecola ha diverse implicazioni importanti. La principale è la scomparsa dei taxa “intermedi” tra spugne, cnidariani e ctenofori e l'ultimo antenato comune o "Urbilateria". Un corollario è che abbiamo un ampio iato nel ramo che porta all’Urbilateria. Abbiamo perso la speranza, tanto comune nelle precedenti argomentazioni evoluzioniste, di ricostruire la morfologia “dell’antenato celomato” attraverso uno scenario che comporta gradi successivi di crescente complessità sulla base dell’anatomia di linee “primitive”. 40
I trilobiti contro Darwin
Una delle più interessanti tra le molte specie che comparvero all’improvviso nel periodo Cambriano è quella dei trilobiti, ora estinta. I trilobiti appartenevano al phylum degli Artropodi ed erano creature molto complicate con gusci duri, corpi articolati e organi complessi. I reperti fossili hanno dato la possibilità di fare studi molto dettagliati sugli occhi dei trilobiti. L’occhio dei trilobiti era costituito da centinaia di minuscole sfaccettature, ognuna delle quali conteneva due strati di lenti. Questa struttura è una vera meraviglia della natura. David Raup, professore di geologia a Harvard, a Rochester e all’Università di Chicago, dice: “450 milioni di anni fa, i trilobiti usavano una struttura ottimale che avrebbe richiesto un ingegnere ottico ben preparato e immaginifico per svilupparla oggi. ."41

Un'altra immagine che mostra esseri viventi del periodo Cambriano.

La struttura straordinariamente complessa anche dei trilobiti è sufficiente da sola a invalidare il darwinismo, perché nessuna creatura complessa con strutture simili viveva nelle ere geologiche precedenti, il che dimostra che i trilobiti comparvero senza alcun processo evolutivo alla spalle. Un articolo di Science del 2001 dice:
L’analisi cladistica della filogenia degli artropodi ha rivelato che i trilobiti, come gli eucrustacea, sono “ramoscelli” piuttosto avanzati dell’albero degli artropodi. Ma i fossili di questi ipotetici artropodi ancestrali mancano. Anche se si scoprisse una prova di una precedente origine, resta una sfida spiegare perché tanti animali sarebbero cresciuti di dimensioni e avrebbero acquistato un guscio in un tempo così breve alla base del Cambriano. 42

Gli occhi dei trilobiti, con la loro struttura composita e le centinaia di minuscole unità lenticolari, furono una meraviglia della progettazione.

Molto poco si sapeva circa la straordinaria situazione del periodo Cambiano, quando Darwin scriveva L’origine delle specie. Solo dopo i tempi di Darwin, i reperti fossili hanno rivelato che la vita era comparsa all’improvviso nel periodo Cambriano e che trilobiti e altri invertebrati giunsero all’esistenza tutto in una volta. Per questo motivo, Darwin non era in grado di trattare in pieno l’argomento nel libro. Ma toccò l’argomento sotto l’intestazione “Della subitanea comparsa di gruppi affini anche nei più antichi strati fossiliferi che si conoscano”, in cui scrisse quanto segue circa il periodo Siluriano (un nome che, all’epoca, comprendeva quello che ora chiamiamo il Cambriano):

Darwin ha detto che se la sua teoria era corretta, ovvero i lunghi periodi antecedenti il trilobiti avrebbe dovuto essere pieno dei loro antenati.
Ma nessuno di queste creature del ipotesi di Darwin è mai stato trovato. .
Di conseguenza, se la mia teoria è vera, è incontestabile che, prima che fosse depositato lo strato siluriano inferiore, passarono lunghi periodi, uguali e forse anche più lunghi dell'intervallo intero che separa l'epoca siluriana dall'epoca presente; e che in questi estesi periodi di tempo, che ci sono interamente ignoti, il mondo formicolava di creature viventi. Alla domanda perché non troviamo reperti di questi vasti periodi primordiali non so dare una risposta soddisfacente. 43
Darwin disse; “se la mia teoria è vera, l’era [Cambriana] deve essere stata piena di esseri viventi”. Per quanto riguarda la domanda del perché non c’erano fossili di queste creature, egli cercò di cavarsela, in tutto il libro, dicendo che “i reperti fossili sono largamente mancanti”. Ma oggi i reperti fossili sono abbastanza completi e rivelano chiaramente che le creature del periodo Cambriano non avevano antenati. Questo significa che dobbiamo rifiutare la frase di Darwin che inizia con “se la mia teoria è vera". Le ipotesi di Darwin non erano valide e per questo la sua teoria era errata.
I reperti del periodo Cambriano demoliscono il darwinismo sia con i corpi complessi dei trilobiti che con la simultanea comparsa di corpi molto diversi. Darwin scrisse “se numerose specie appartenenti agli stessi generi o alle stesse famiglie avessero veramente cominciato a vivere tutte in una volta, il fatto sarebbe fatale per la teoria della discesa con lente modificazioni che avvengono attraverso la selezione naturale."44- cioè la teoria che sta al cuore del suo libro. Ma come abbiamo visto in precedenza, da 60 a 100 phyla animali diversi iniziarono a vivere nel periodo Cambriano, tutti assieme e allo stesso tempo, senza parlare di categorie minori come le specie. Questo dimostra che il quadro che Darwin aveva descritto come "fatale per la teoria”, è la realtà. Ecco perché il paleoantropologo evoluzionista svizzero Stefan Bengtson, che confessa la mancanza di anelli di congiunzione nel descrivere il periodo Cambriano, fa il seguente commento: "sconcertante (e imbarazzante) per Darwin, questo evento ci rende ancora perplessi".45
Un altro argomento che deve essere affrontato in relazione ai trilobiti è che la struttura composita degli occhi di queste creature di 530 milioni di anni fa è giunta fino ai giorni nostri completamente invariata. Alcuni insetti, come api e libellule, hanno la stessa struttura oculare. 46 Questa scoperta infligge un altro colpo di grazia alla teoria dell’evoluzione secondo cui gli esseri viventi si sono evoluti dal primitivo al complesso.
L’origine dei vertebrati
Come abbiamo detto all’inizio, uno dei phyla che comparvero all’improvviso nel periodo Cambriano è quello dei Cordati, quelle creature con un sistema nervoso centrale contenuto in una scatola cranica e una notocorda o corda dorsale. I vertebrati sono un sottogruppo dei cordati. I vertebrati divisi in classi fondamentali come pesci, anfibi, rettili, uccelli e mammiferi, sono probabilmente le creature più dominanti del regno animale.
IL PESCE DEI CAMBRIANO

Fino al 1999 la questione sull'eventuale presenza di vertebrati nel Cambriano era limitata alla discussione sul Pikaia. Ma quell'anno una scoperta sensazionale approfondì l'impasse evoluzionista relativo all'esplosione cambriana: alcuni paleontologi cinesi scoprirono a Chengjiang i fossili di due specie di pesci che avevano circa 530 milioni di anni, un periodo noto come Cambriano Inferiore. Divenne quindi chiarissimo che, insieme a tutti gli altri phyla, anche il subphylum Vertebrata (Vertebrati) fu presente nel Cambriano, senza alcun antenato evolutivo.


Due distinte specie di pesce di Cambriano, Haikouichthys ercaicunensis e Myllokunmingia fengjiaoa.
Poiché i paleontologi evoluzionisti tentano di vedere ogni phylum come la continuazione evolutiva di un altro phylum, essi affermano che il phylum dei Cordati si sviluppò da un altro, quello degli invertebrati. Ma in realtà, come per tutti i phyla, i membri dei Cordati emersero nel periodo Cambriano invalidando questa affermazione dall’origine.
Come affermato prima, pesci fossili cambriani di 530 milioni di anni fa furono scoperti nel 1999 e questa stupefacente scoperta fu sufficiente a demolire tutte le affermazioni della teoria dell’evoluzione su questo argomento. 47
Il più vecchio esemplare del phylum dei Cordati identificato nel periodo Cambriano è una creatura marina chiamata Pikaia che con il suo lungo corpo ricorda a prima vista un verme. Le Pikaia emersero contemporaneamente a tutte le altre specie del phylum che potevano essere proposte come suoi antenati e senza alcuna forma intermedia. Il professor Mustafa Kuru, un biologo evoluzionista turco, dice nel suo libro vertebrati vertebrati:
Non c’è alcun dubbio che i Cordati si siano sviluppati dagli invertebrati. La mancanza di forme di transizione tra invertebrati e Cordati, però, fa fare alla gente molte ipotesi.48
Se non c’è alcuna forma di transizione tra Cordati e invertebrati, come è possibile dire “non c’è alcun dubbio che i Cordati si svilupparono dagli invertebrati?” Accettare un’ipotesi che manca di prove di supporto senza manifestare alcun dubbio non è certamente un approccio scientifico ma dogmatico. Dopo questa dichiarazione, il professor Kuru discute l’ipotesi evoluzionista riguardante l’origine dei vertebrati e una volta ancora confessa che i reperti fossili dei Cordati consistono solo di spazi vuoti.
Le opinioni espresse in precedenza circa l’origine dei Cordati e l’evoluzione sono sempre affrontate con sospetto perchè non si basano su alcun reperto fossile.49
I biologi evoluzionisti a volte affermano che il motivo per cui non esiste alcun reperto fossile le relativo alle origini dei vertebrati è perché gli invertebrati hanno tessuti molli e, di conseguenza, non lasciano tracce fossili. Questa spiegazione è completamente irreale perché c’è abbondanza di resti fossili di invertebrati. Quasi tutti gli organismi del periodo Cambriano erano invertebrati e sono state raccolte decine di migliaia di esemplari fossili. Per esempio ci sono molti fossili di creature dai tessuti molli nei letti di Burgess Shale in Canada (gli scienziati pensano che gli invertebrati si siano fossilizzati e i loro tessuti molli siano rimasti intatti in regioni come Burgess Shale perché erano stati coperti all’improvviso di fango a basso contenuto di ossigeno 50).
La teoria dell‘evoluzione ipotizza che i primi Cordati come i Pikaia diventarono pesci. Proprio come nel caso della presunta evoluzione dei Cordati, però, la teoria dell’evoluzione dei pesci manca anch’essa di prove fossili a sostegno. Al contrario, tutte le distinte classi di pesci emersero nei reperti fossili all’improvviso e completamente formate. Ci sono milioni di fossili di invertebrati e milioni di fossili di pesci ma nemmeno uno che sia a mezza strada tra di essi.
Robert Carroll ammette l’impasse evoluzionista sulle origini di diversi taxa tra i primi invertebrati.
Non abbiamo ancora prove della natura della transizione tra cefalocordati e craniati. I più antichi vertebrati adeguatamente conosciuti mostrano tutte le caratteristiche definite dei craniati che possiamo aspettarci si siano conservati nei fossili. Non si conosce alcun fossile che documenti l’origine dei vertebrati mandibolati.51
Un altro paleontologo evoluzionista, Gerald T. Todd, ammette un fatto simile in un articolo dal titolo "Evolution of the Lung and the Origin of Bony Fishes":
Tutte e tre le sottodivisioni di questi pesci ossei compaiono nei reperti fossili all’incirca allo stesso tempo. Sono già morfologicamente molto divergenti e sono fortemente corazzati. Come ebbero origine? Che cosa consentì loro di divergere tanto? Come arrivarono tutti ad avere una pesante corazza? E perché non c’è traccia di forme precedenti intermedie? 52
L'ORIGINE DEI PESCI
I reperti fossili mostrano che anche i pesci, come altri tipi di esseri viventi, comparvero all'improvviso e già in possesso delle loro strutture peculiari. In altre parole i pesci furono creati, non si evolvettero.
Un pesce fossile chiamato Birkenia, dalla Scozia. Questa creatura, che si stima abbia 420 milioni di anni, è lunga circa 4 cm. Uno squalo fossile del genere Stethacanthus, di circa 330 milioni di anni.

Pesce fossile di 110 milioni di anni del letto fossile Santana in Brasile.
Gruppo di pesci fossili dell'era Mesozoica (da 248 a 65 milioni di anni fa).
Pesce fossile di circa 360 milioni di anni del periodoDevoniano. Chiamato Osteolepis panderi, è lungo circa 20 cm e somiglia molto da vicino ai pesci odierni.
L’origine dei tetrapodi
I quadrupedi (o Tetrapodi) è il nome generico dato ad animali vertebrati che abitano sulla terra. Anfibi, rettili, uccelli e mammiferi sono compresi in questa classe. L’ipotesi della teoria dell’evoluzione riguardo ai quadrupedi sostiene che questi esseri viventi si siano sviluppati da pesci che vivevano nel mare. Questa affermazione, però, presenta contraddizioni sia in termini fisiologici che anatomici. Inoltre manca di qualsiasi base nei reperti fossili.
Un pesce avrebbe dovuto subire grosse modifiche per adattarsi alla terra. Fondamentalmente i suoi sistemi respiratori, secretivi e scheletrici avrebbero dovuto tutti modificarsi. Le branchie avrebbero dovuto trasformarsi in polmoni, le pinne avrebbero dovuto acquisire le funzioni di piedi in modo da poter sostenere il peso del corpo, e i reni e l’intero sistema secretivo si sarebbero dovuti trasformare in modo da funzionare in un ambiente terrestre, mentre la pelle avrebbe dovuto acquisire una nuova struttura per prevenire la perdita di acqua. Se non fossero avvenute tutte queste cose, un pesce sarebbe potuto sopravvivere sulla terra solo per pochi minuti.
Quindi, in che modo l’opinione evoluzionista spiega l’origine di animali che abitano sulla terra? Alcuni superficiali commenti nella letteratura evoluzionista si basano principalmente sulla logica di Lamarck. Per esempio, riguardo alla trasformazione delle pinne in piedi, essi dicono, “proprio quando i pesci iniziarono a strisciare sulla terra, le pinne gradualmente divennero piedi”. Ali Demirsoy, uno dei più importanti scienziati evoluzionisti della Turchia, scrive quanto segue: “forse le penne dei pesci dotati di polmoni diventarono piedi di anfibi quando essi strisciavano nell’acqua fangosa”53.
Come detto prima, questi commenti si basano sulla logica di Lamarck dal momento che il commento si fonda essenzialmente sul miglioramento di un organo attraverso l’uso e il trasferimento di questa caratteristica alle generazioni successive. Sembra che la teoria postulata da Lamarck, che era crollata un secolo fa, abbia ancora oggi una forte influenza sull’inconscio dei biologi evoluzionisti.
Se mettiamo da parte questi scenari lamarchiani, e quindi non scientifici, dobbiamo rivolgere la nostra attenzione agli scenari basati sulla mutazione e sulla selezione naturale. Quando si esaminano questi meccanismi, però, si può vedere che la teoria del passaggio dall’acqua alla terra è in una completa impasse.
Immaginiamo in che modo un pesce potrebbe emergere dall’acqua e adattarsi alla terra: se il pesce non subisce una rapida modifica nei sistemi respiratorio, secretivo e scheletrico, inevitabilmente muore. La catena di mutazioni, che è necessario avvenga, deve immediatamente fornire al pesce polmoni e reni terrestri. Similmente questo meccanismo deve trasformare le pinne in piedi e fornire la struttura cutanea che trattiene l’acqua all’interno del corpo. Inoltre, questa catena di mutazioni deve aver luogo durante la vita di un singolo animale.

FALSO
Lo scenario del "passaggio dall'acqua alla terra", spesso sostenuto nelle pubblicazioni evoluzioniste adoperando diagrammi immaginifici come quello che precede, è frequentemente presentato con la logica lamarckiana che è chiaramente pseudoscienza.
Nessun biologo evoluzionista sosterrebbe mai una tale catena di mutazioni. La natura non plausibile e senza senso dell’idea stessa è ovvia. Nonostante ciò, gli evoluzionisti presentano il concetto di “preadattamento” che significa che i pesci acquisiscono le caratteristiche di cui hanno bisogno mentre sono ancora in acqua. In breve, la teoria dice che i pesci acquisiscono le caratteristiche di animali che vivono sulla terra prima ancora di sentire il bisogno di queste caratteristiche, mentre ancora vivono nel mare.
Un tale scenario, però, è privo di logica anche se osservato dal punto di vista della teoria dell’evoluzione. Certamente acquisire le caratteristiche di un animale che vive sulla terra non sarebbe un vantaggio per un animale marino. Di conseguenza, l’affermazione che queste caratteristiche si presentarono attraverso la selezione naturale non si fonda su alcun terreno razionale. Al contrario, la selezione naturale avrebbe eliminato qualunque creatura che subisse un “preadattamento” perché acquisire tratti che consentissero a tale creatura di vivere sulla terra, le avrebbe sicuramente provocato uno svantaggio nel mare.
In breve, lo scenario del "passaggio dal mare alla terra” è in un vicolo cieco. Ecco perché Henry Gee, editor di Nature, considera questo scenario un racconto non scientifico:
Le narrazioni convenzionali sull’evoluzione, sugli ‘anelli mancanti’, sono intrinsecamente non suscettibili di essere messe alla prova, perché gli eventi hanno avuto un solo corso – quello implicito nella stessa narrazione. Se la narrazione riguarda il modo in cui un gruppo di pesci strisciò sulla terra e sviluppò le zampe, si è costretti a vedere questo come un evento avvenuto un’unica volta, perché è così che va la narrazione. Si può sottoscrivere questa narrazione o no. Non ci sono alternative.54
Non c'è alcun processo "evolutivo" all'origine delle rane. Le rane più antiche che si conoscano sono completamente diverse dai pesci e comparvero con tutte le loro caratteristiche peculiari. Le rane dei giorni nostri hanno le stesse caratteristiche. Non c'è alcuna differenza tra la rana conservata nell'ambra nella Repubblica Dominicana e gli esemplari che vivono oggi.
L’impasse non deriva solo dai presunti meccanismi dell’evoluzione ma anche dai reperti fossili o dallo studio dei tetrapodi viventi. Robert Carroll deve ammettere che “né i reperti fossili né lo studio dello sviluppo dei generi moderni forniscono ancora un quadro completo del modo in cui si sono evolute le membra accoppiate dei tetrapodi”.55
Si afferma che parecchi generi di pesci e anfibi rappresentino il passaggio da pesci a tetrapodi, ma nessuno di questi presenta caratteristiche di forme di transizione.

Un fossile di Eusthenopteron foordi trova in Canada dal periodo Devoniano.
Gli storici evoluzionisti della natura fanno riferimento ai celecanti (e ai parenti vicini, i ripidisti, estinti) come ai più probabili antenati dei quadrupedi. Questi pesci appartengono alla sottoclasse dei crossopterigi. Gli evoluzionisti investono in loro tutte le proprie speranze, semplicemente perché le loro pinne hanno strutture relativamente “carnose”. Tuttavia questi pesci non sono forme di transizione e ci sono enormi differenze anatomiche e fisiologiche tra questa classe e gli anfibi.
È a causa delle enormi differenze anatomiche tra loro che i pesci non possono essere considerati gli antenati evolutivi degli anfibi. I due esempi preferiti della maggior parte degli scenari evolutivi contemporanei riguardanti le origini dei tetrapodi sono l’Eusthenopteron (un pesce estinto) e lo Acanthostega (un anfibio estinto). Robert Carroll, nel suo Patterns and Processes of Vertebrate Evolution, fa il seguente commento su queste forme ipoteticamente imparentate tra di loro :
L’Eusthenopteron e l’Acanthostega possono essere presi come i punti finali del passaggio tra pesci e anfibi. Delle 145 caratteristiche anatomiche che potrebbero essere messe a confronto tra questi due generi, 91 mostravano cambiamenti associati all’adattamento alla vita sulla terra… Questo è di gran lunga superiore al numero di cambiamenti che sono avvenuti in ognuna delle transizioni che coinvolgono l’origine dei quindici principali gruppi di tetrapodi paleozoici.56
Novantuno differenze su 145 caratteristiche anatomiche… E gli evoluzionisti credono che tutte furono riprogettate attraverso un processo di mutazioni casuali in circa 15 milioni di anni.57 Credere a un tale scenario potrebbe essere necessario per amore della teoria dell’evoluzione, ma non è scientificamente e razionalmente fondato. Questo è vero per tutte le altre versioni dello scenario pesci-anfibi, che differiscono secondo i candidati scelti come forme di transizione. Henry Gee, l’editor di Nature, fa un commento simile sullo scenario che si basa sullo Ichthyostega, un altro anfibio estinto con caratteristiche molto simili a quelle dell’Acanthostega:
L’affermazione che l'Ichthyostega sia un anello mancante tra pesci e successivi tetrapodi rivela ancora di più sui pregiudizi che abbiamo riguardo le creature che si suppone siano oggetto di studio. Dimostra quanto ci risulta imposta una visione ristretta della realtà, basata sulla nostra esperienza limitata. quando la realtà può essere più ampia, più strana e più diversa di quanto possiamo immaginare. 58
Un’altra caratteristica notevole delle origini degli anfibi è l’improvvisa comparsa delle tre categorie anfibie di base. Carroll nota che “i primi fossili di rane, cecilie e salamandre comparvero tutti tra il primo e il medio Giurassico. Tutti mostrano la maggior parte degli attributi importanti dei loro discendenti viventi".59 In altre parole questi animali comparvero all’improvviso e non hanno subito alcuna evoluzione da allora.
Speculazioni sui celecanti
I pesci appartenenti alla famiglia dei celecanti erano una volta accettati come prova forte dell’esistenza di forme di transizione. Basando le loro argomentazioni sui celecanti fossili, i biologi evolutivi proposero che questo pesce avesse un polmone primitivo (non completamente funzionante). Molte pubblicazioni scientifiche affermavano questo fatto insieme a disegni che mostravano in quali modi i celecanti erano passati sulla terra dall’acqua. Tutto ciò si basava sull’ipotesi secondo cui il celecanto era una specie estinta.

Quando hanno avuto solo fossili della Coelacanth, i paleontologi evoluzionisti hanno presentato una serie di ipotesi; tuttavia, quando gli esempi vivono sono stati scoperti, tutte queste ipotesi sono state infrante.

Qui di seguito, esempi di Coelacanth che vivono. La foto sulla destra mostra uno degli ultimi esemplari, trovato in Indonesia nel 1998.
Il 22 dicembre 1938, però, fu fatta una scoperta molto interessante nell’Oceano Indiano. Fu catturato un esemplare vivente della famiglia dei celecanti, presentato in precedenza come forma di transizione estinta 70 milioni di anni fa! La scoperta di un esemplare vivente di celecanto sconvolse gli evoluzionisti. Il paleontologo evoluzionista J. L. B. Smith disse, “se avessi incontrato un dinosauro per la strada non sarei stato più stupefatto".60 Negli anni a venire, furono catturati 200 celecanti, molte volte in diverse parti del mondo.
I celecanti viventi rivelarono quanto infondate fossero le speculazioni su di loro. Al contrario di quanto era stato affermato, i celecanti non avevano né polmoni primitivi né un grosso cervello. L’organo che i ricercatori evoluzionisti avevano proposto come polmoni primitivi si rivelò essere nient’altro che una vescica natatoria piena di grasso.61 Inoltre il celecanto, che fu presentato come “un candidato rettile pronto a passare dal mare alla terra”, era in realtà un pesce che viveva nelle profondità degli oceani e non si avvicinava mai a meno di 180 metri della superficie.62

Il motivo fondamentale per il quale gli evoluzionisti immaginano che i celacanti e i pesci ad essi simili siano “l’antenato degli animali terrestri” è che essi hanno pinne ossee. Essi immaginano che queste, gradualmente, si siano trasformate in zampe. Esiste tuttavia una differenza fondamentale tra le ossa dei pesci e le zampe degli animali terrestri come l’Ichthyostega: Come indicato nella Figura 1, le ossa del Celacanto non sono attaccate alla spina dorsale; tuttavia quelle dell’Ichthyostega lo sono, come indica la Figura 2. Per questo motivo l’affermazione che queste pinne si siano gradualmente evolute in zampe è decisamente infondata. Inoltre, la struttura delle ossa nelle pinne del Celacanto è molto diversa da quella nelle zampe dell’Ichthyostega, come si vede nelle Figure 3 e 4.
A seguito di ciò, il celecanto improvvisamente perse tutta la sua popolarità nelle pubblicazioni evoluzioniste. Peter Forey, un paleontologo evoluzionista, dice, in articolo su Nature:
la scoperta dei Latimeria suscitò la speranza di raccogliere informazioni dirette del passaggio dei pesci in anfibi perché allora c’era una credenza fortemente sostenuta che i celecanti fossero vicini ad essere antenati dei tetrapodi. Ma studi sull’anatomia e sulla fisiologia dei Latimeria hanno scoperto che questa teoria della parentela è manchevole e la reputazione del celecanto vivente come anello mancante sembra ingiustificata.63
Questo significò che la sola vera affermazione di una forma di transizione tra pesci e anfibi era stata demolita.
Ostacoli fisici al passaggio dall’acqua alla terra.
L’affermazione secondo cui i pesci sarebbero gli antenati di creature che abitano sulla terra è invalidata da osservazioni anatomiche e fisiologiche nonché dai reperti fossili. Quando esaminiamo le enormi differenze anatomiche e fisiologiche tra creature che abitano l’acqua e quelle che abitano la terra, possiamo vedere che queste differenze non potrebbero essere scomparse in un processo evolutivo con cambiamenti graduali basati sul caso. Possiamo elencare le più evidenti di queste differenze come segue:
1- Sostegno del peso: le creature che abitano nel mare non hanno problemi a sostenere il proprio peso, ma le strutture del loro corpo non sono fatte per tale compito sulla terra. La maggior parte delle creature terrestri, infatti, consuma il 40 percento delle proprie energie solo per portare il giro il proprio corpo. Le creature che si afferma abbiano fatto il passaggio dall’acqua alla terra avrebbero dovuto sviluppare allo stesso tempo nuovi sistemi muscolari e ossei per soddisfare questi bisogni energetici e questo non potrebbe essere avvenuto attraverso mutazioni casuali.
Il motivo di base per cui gli evoluzionisti immaginano il celecanto e altri pesci simili come antenati di creature che abitano sulla terra è che le loro pinne contengono ossa. Si presume che nel tempo, queste pinne siano diventate piedi in grado di sopportare il peso. C’è, però, una differenza fondamentale tra le ossa di questi pesci e i piedi delle creature che abitano sulla terra. È impossibile che le prime assumano una funzione di sostegno del peso, perché non sono collegate alla colonna vertebrale. Le ossa delle creature che abitano sulla terra, al contrario, sono direttamente collegate alla colonna vertebrale. Per questo motivo, l'affermazione che tali pinne si trasformarono lentamente in piedi è infondata.
IL PROBLEMA DEI RENI
I pesci eliminano le sostanze dannose dal corpo direttamente nell'acqua, ma gli animali terrestri hanno bisogno dei reni. Per questo motivo, lo scenario del passaggio dall'acqua alla terra richiede lo sviluppo fortuito dei reni.
I reni, però, hanno una struttura straordinariamente complessa e, per di più, per funzionare devono essere presenti al 100 percento e completamente in buon ordine. Un rene sviluppato al 50, al 70 o anche al 90 percento non avrebbe alcuna funzione. Poiché la teoria dell'evoluzione dipende dall'assunto secondo cui "organi che non sono usati scompaiono", un 50 percento dei reni sviluppati scomparirà dal corpo nella prima fase dell'evoluzione.
2- Conservazione del calore: sulla terra la temperatura può cambiare rapidamente e fluttuare entro una gamma molto vasta. Le creature che vivono sulla terra possiedono un meccanismo fisico che può sopportare grandi cambiamenti di temperatura. Nel mare, però, la temperatura cambia lentamente ed entro una gamma ristretta. Un organismo vivente con un sistema corporeo regolato secondo la temperatura costante del mare avrebbe avuto bisogno di acquisire un sistema protettivo per subire meno danni dai cambiamenti di temperatura sulla terra. È pretestuoso affermare che i pesci acquisirono un tale sistema attraverso mutazioni casuali appena passarono sulla terra.
METAMORFOSI
Le rane nascono nell’acqua, vivono lì per un certo tempo e finalmente emergono sulla terraferma nel corso di un processo noto come “metamorfosi”. Alcuni pensano che la metamorfosi sia una prova dell’evoluzione mentre le due cose, in realtà, non hanno nulla a che fare l’una con l’altra.
L’unico meccanismo innovativo proposto dall’evoluzione è la mutazione. La metamorfosi, però, non avviene per mezzo di effetti causati da coincidenze, come fa la mutazione. Al contrario, questo cambiamento è scritto nel codice genetico delle rane. In altre parole, quando la rana nasce, è già evidente che ha un tipo di corpo che le consentirà di vivere sulla terra. Ricerche compiute in anni recenti dimostrano che la metamorfosi è un processo complesso governato da diversi geni. Per esempio, proprio la perdita della coda, durante questo processo, è governata, secondo la rivista Science News, da oltre una dozzina di geni (Science News, 17 luglio 1999, pagina 43).
Le affermazioni degli evoluzionisti riguardanti il passaggio dall’acqua alla terra, dicono che i pesci, con un codice genetico completamente creato per consentire loro di vivere nell’acqua, si sarebbero trasformati in creature terrestri come risultato di mutazioni casuali. Proprio per questo motivo, però, la metamorfosi in effetti confuta l’evoluzione piuttosto che sostenerla, perché il minimo errore nel processo significherebbe la morte della creatura o la sua deformità. È essenziale che la metamorfosi avvenga perfettamente. È impossibile che un processo così complesso, che non lascia spazio ad errori, sia avvenuto per messo di mutazioni casuali come sostenuto dall’evoluzione.
3- Acqua: essenziale per il metabolismo, l’acqua deve essere usata con parsimonia, a causa della relativa scarsità sulla terra. Per esempio, la pelle deve essere in grado di consentire una certa dispersione dell’acqua, impedendo allo stesso tempo l’eccessiva evaporazione. Ecco perché le creature che vivono sulla terra hanno sete, al contrario delle creature che vivono nel mare. Per questo motivo la pelle degli animali che vivono nel mare non è adatta a un habitat non acquatico.
4- Reni: gli organismi che vivono nel mare scaricano i materiali di rifiuto, specialmente l’ammoniaca, per mezzo dell’ambiente acquatico. Nei pesci di acqua dolce, la maggior parte dei residui di azoto (compresi grandi quantitativi di ammoniaca, NH3) fuoriesce per diffusione dalle branchie. I reni rappresentano principalmente un dispositivo per conservare l’equilibrio acquoso dell’animale, più che un organo di secrezione. I pesci marini ne hanno due tipi: squali e razze possono sopportare livelli di urea molto alti nel sangue. Il sangue degli squali può contenere il 2,5% di urea a differenza dello 0,01-0,03% di altri vertebrati. Gli altri tipi, cioè i pesci ossei marini, sono molto diversi. Essi perdono acqua in continuazione, ma la sostituiscono bevendo l’acqua del mare e desalinizzandola. Per eliminare gli eccessi o i soluti di scarto, fanno affidamento su sistemi secretivi che sono molto diversi da quelli dei vertebrati terrestri. Perché fosse avvenuto il passaggio dall’acqua alla terra, quindi, gli esseri viventi senza reni avrebbero dovuto sviluppare improvvisamente un sistema renale.
5- Sistema respiratorio: i pesci “respirano” prendendo l’ossigeno sciolto nell’acqua che lasciano passare attraverso le branchie. Non possono vivere più di pochi minuti fuori dall’acqua. Per sopravvivere sulla terra avrebbero dovuto acquisire all’improvviso un sistema polmonare perfetto.
È del tutto impossibile che tali drastici cambiamenti fisiologici possano essere avvenuti nello stesso organismo contemporaneamente e per caso.
L’origine dei rettili
Dinosauri, tartarughe, lucertole, coccodrilli – tutti questi ricadono sotto la classe dei rettili. Alcuni, come i dinosauri, sono estinti, ma la maggioranza di queste specie vive ancora sulla terra. I rettili hanno alcune caratteristiche peculiari. Per esempio, i loro corpi sono coperti di scaglie e sono a sangue freddo, il che significa che non possono regolare in modo fisiologico la temperatura corporea (questo è il motivo per cui espongono il corpo alla luce del sole per scaldarsi). La maggior parte si riproduce deponendo uova.
UOVA DIVERSE
Una delle incoerenze dello scenario evolutivo anfibi-rettili è la struttura delle uova. Le uova degli anfibi, che si sviluppano nell’acqua, hanno una struttura gelatinosa e una membrana porosa, mentre le uova dei rettili, come mostra la ricostruzione di un uovo di dinosauro, a sinistra, sono dure e impermeabili per conformarsi alle condizioni sulla terra. Perché un anfibio diventasse un rettile, le sue uova avrebbero dovuto trasformarsi, per coincidenza, in perfette uova di rettili e il minimo errore in tale processo avrebbe portato all’estinzione della specie.

Per quanto riguarda l’origine di queste creature, l’evoluzione è ancora una volta in un’impasse. I darwinisti affermano che i rettili si svilupparono dagli anfibi. Non è stata però mai fatta alcuna scoperta per verificare una tale affermazione. Al contrario, il confronto tra gli anfibi e i rettili dimostra che ci sono enormi differenze fisiologiche tra i due e che un “mezzo rettile – mezzo anfibio” non avrebbe avuto alcuna possibilità di sopravvivere.
Un esempio delle differenze fisiologiche tra questi due gruppi è la diversa struttura delle loro uova. Gli anfibi depongono le uova nell’acqua ed esse sono gelatinose, con una membrana trasparente e permeabile. Queste uova hanno la struttura ideale per svilupparsi nell’acqua. I rettili, d’altro canto, depongono le uova sulla terra e, di conseguenza, le loro uova sono create per sopravvivere là. Il guscio duro delle uova dei rettili, noto anche come “uovo amniotico”, consente l’ingresso dell’aria ma è impermeabile all’acqua. In questo modo, l’acqua necessaria per lo sviluppo dell’animale viene tenuta all'interno dell’uovo.
Se le uova degli anfibi fossero deposte sulla terra, si asciugherebbero immediatamente uccidendo l’embrione. Questo non può essere spiegato nei termini dell’evoluzione che asserisce che i rettili si svilupparono gradualmente dagli anfibi. Infatti, perché la vita potesse cominciare sulla terra, l’uovo degli anfibi avrebbe dovuto diventare di tipo amniotico entro il periodo di vita di una sola generazione. In che modo un tale processo sia potuto avvenire per mezzo della selezione naturale e delle mutazioni – i meccanismi dell’evoluzione – è inspiegabile. Il biologo Michael Denton spiega i dettagli dell’impasse evoluzionista su questo punto:
Ogni testo sull’evoluzione asserisce che i rettili si sono evoluti dagli anfibi, ma nessuno spiega come l’adattamento più peculiare dei rettili, l’uovo amniotico, sia venuto fuori gradualmente come risultato di successivi accumuli di piccoli cambiamenti. L’uovo amniotico dei rettili è molto più complesso di quello degli anfibi. Ci sono a stento due uova in tutto il regno animale che differiscono in modo più fondamentale…L’origine dell’uovo amniotico e la transizione dagli anfibi ai rettili è un’altra delle importanti divisione dei vertebrati per cui non sono mai stati forniti schemi evolutivi chiaramente elaborati. Cercando di spiegare, per esempio, in che modo il cuore e gli archi aortici di un anfibio potrebbero essersi gradualmente convertiti in quelli dei rettili e nelle condizioni dei mammiferi solleva problemi assolutamente terribili.64
Né i reperti fossili forniscono alcuna prova per confermare l‘ipotesi evoluzionista riguardo all’origine dei rettili.
Robert L. Carroll è obbligato ad accettare ciò. Nella sua opera classica Vertebrate Paleontology and Evolution, egli ha scritto che “i primi amnioti sono sufficientemente distinti da tutti gli anfibi paleozoici e la loro specifica ascendenza non è stata stabilita”.65 Nel suo libro più recente Patterns and Processes of Vertebrate Evolution, pubblicato nel 1997, egli ammette che “l’origine dei moderni ordini degli anfibi (e) la transizione tra i primi tetrapodi” sono ancora scarsamente note insieme con l’origine di molti altri gruppi maggiori.66
L'ERRORE DEI SEYMOURIA

Una volta gli evoluzionisti sostenevano che il fossile di Seymouria a sinistra era una forma di transizione tra anfibi e rettili. Secondo questo scenario, la Seymouria sarebbe stata "l'antenato primitivo dei rettili". Successive scoperte fossili, però, dimostrarono che i rettili vivevano sulla terra circa 30 milioni di anni prima dei Seymouria. Alla luce di ciò, gli evoluzionisti misero fine ai loro commenti riguardo ai Seymouria.
Lo stesso fatto è riconosciuto da Stephen Jay Gould:
Nessun anfibio fossile sembra chiaramente antenato della linea dei vertebrati pienamente terrestri (rettili, uccelli, e mammiferi) 67
Finora, il più importante animale presentato come “antenato dei rettili” è stata la Seymouria, una specie di anfibio. Il fatto che la Seymouria non potesse essere una forma di transizione è stato però rivelato dalla scoperta che i rettili esistevano sulla terra circa 30 milioni di anni prima che la Seymouria vi apparisse per la prima volta. Le più antiche Seymourie fossili sono stati trovate nello strato del Permiano inferiore, cioè 280 milioni di anni fa. Invece le specie di rettili più antichi conosciuti, l’Hylonomus e il Paleothyris, furono trovati negli strati inferiori del Pennsylvaniano, il che li rende vecchi di 315-330 milioni di anni.68 È certamente non plausibile che lo “antenato dei rettili” vivesse successivamente ai primi rettili.
In breve, al contrario dell’affermazione degli evoluzionisti secondo cui gli esseri viventi si evolvettero gradualmente, i fatti scientifici rivelano che comparvero sulla terra all’improvviso e pienamente formati.
Serpenti e tartarughe
Inoltre ci sono confini insormontabili tra ordini di rettili molto diversi come serpenti, coccodrilli, dinosauri e lucertole. Ciascuno di questi ordini diversi compare all’improvviso nei reperti fossili e con strutture molto diverse. Osservando le strutture molto diverse di questi gruppi, gli evoluzionisti arrivano ad immaginare i processi evolutivi che potrebbero essere avvenuti. Ma queste ipotesi non si riflettono nei reperti fossili. Per esempio, un‘ipotesi evolutiva molto diffusa è che i serpenti si evolvettero da lucertole che persero gradualmente le zampe. Ma gli evoluzionisti non sono in grado di rispondere alla domanda su quali “vantaggi” avrebbe tratto una lucertola che cominciasse a perdere gradualmente le zampe e sul modo in cui questa creatura poteva essere “preferita” dalla selezione naturale.

Un pitone fossile di circa 50 milioni di anni fa del genere Palaeopython.
Resta da dire che i serpenti più antichi che si conoscano non hanno alcuna caratteristica di “forma intermedia" e che non sono diversi dai serpenti dei giorni nostri, Il fossile di serpente più antico che si conosca è la Dinilysia, trovato nelle rocce del Cretaceo superiore in Sud America. Robert Carroll accetta che questa creatura “mostra una fase di evoluzione abbastanza avanzata di queste caratteristiche [le caratteristiche specializzate del cranio dei serpenti]”,69 in altre parole che già possedeva tutte le caratteristiche dei serpenti dei giorni nostri.
Un altro ordine di rettili è quello delle tartarughe che emersero nei reperti fossili insieme con i gusci che sono tanto caratteristici delle stesse. Le fonti evoluzioniste affermano che “sfortunatamente le origini di questo ordine di gran successo sono oscurate dalla mancanza di fossili antichi, sebbene le tartarughe lascino resti fossili più numerosi e migliori rispetto ad altri invertebrati. Entro la metà del periodo giurassico (circa 200.000.000 anni fa) le tartarughe erano numerose e in possesso delle loro caratteristiche di base…Forme intermedie tra tartarughe e cotilosauri, i rettili da cui [si suppone] derivarono le tartarughe, mancano completamente”70.
Quindi Robert Carroll è anche costretto a dire che le prime tartarughe si incontrano nelle formazioni triassiche in Germania e che queste si distinguevano facilmente dalle altre specie grazie al guscio duro che era molto simile a quello degli esemplari che vivono oggi. Va poi avanti affermando che nessuna traccia di tartarughe precedenti o più primitive è stata mai identificata, sebbene le tartarughe si fossilizzino molto facilmente e siano facilmente riconoscibili, anche se se ne trovano parti molto piccole.71

A sinistra, una tartaruga di acqua dolce, vecchia di circa 45 milioni di anni, trovata in Germania. All'estrema sinistra i resti della più antica tartaruga marina che si conosca. Questo fossile di 110 milioni di anni, trovato in Brasile, è identico agli esemplari che vivono oggi.

Tutti questi tipi di esseri viventi emersero all’improvviso e in modo indipendente. Questo fatto è una prova scientifica che furono creati.
Rettili volanti

Un fossile di Eudimorphodon, una delle più antiche specie di rettili volanti. Questo esemplare, trovato nell'Italia settentrionale, ha circa 220 milioni di anni.
Un gruppo interessante nella classe dei rettili è costituito da quelli volanti. Questi emersero per la prima volta 200 milioni di anni fa nel Triassico superiore ma successivamente si estinsero. Queste creature erano rettili perché avevano tutte le caratteristiche fondamentali della classe. Erano a sangue freddo (cioè non erano in grado di regolare il calore interno) e i loro corpi erano ricoperti di scaglie. Ma avevano ali possenti e si pensava che questo consentisse loro di volare.
I rettili volanti sono ritratti in alcune popolari pubblicazioni evoluzioniste come scoperte paleontologiche che supportano il darwinismo – almeno è l’impressione che danno. L’origine dei rettili volanti, però, è in realtà un vero problema per la teoria dell’evoluzione. La più chiara indicazione di ciò è che i rettili volanti comparvero improvvisamente e completamente formati senza alcuna forma intermedia tra loro e i rettili terrestri. I rettili volanti possedevano ali perfettamente create che nessun rettile terrestre possedeva. Nessuna creatura semialata è stata mai incontrata nei reperti fossili.
In ogni caso, nessuna creatura semialata potrebbe essere vissuta perchè se immaginarie creature fossero esistite, avrebbero avuto gravi svantaggi rispetto agli altri rettili, avendo perso le zampe anteriori ma essendo comunque incapaci di volare. In tal caso, secondo le stesse regole dell’evoluzione, sarebbero state eliminate e si sarebbero estinte.

Un fossile di rettile volante della specie Pterodactylus kochi. Questo esemplare, trovato in Baviera, ha circa 240 milioni di anni.
Infatti, quando si esaminano le ali dei rettili volanti, si nota che hanno strutture così perfette da non poter essere mai attribuite all’evoluzione. Proprio come gli altri rettili hanno cinque dita sulle zampe anteriori, i rettili volanti hanno cinque dita sulle ali. Ma il quarto dito è circa 20 volte più lungo degli altri e l’ala sporge da sotto quel dito. Se i rettili terrestri si fossero evoluti in rettili volanti, allora questo quarto dito sarebbe dovuto crescere gradualmente, col passar del tempo. Non solo il quarto dito, ma tutta la struttura dell’ala avrebbe dovuto svilupparsi con mutazioni casuali e tutto il processo avrebbe dovuto apportare qualche vantaggio alla creatura. Duane T. Gish, uno dei principali critici della teoria dell’evoluzione a livello paleontologico, fa questo commento:
la nozione stessa di un rettile terrestre che possa essersi gradualmente convertito in un rettile volante è assurda. Le strutture incipienti, semi-evolute, piuttosto che confermare i vantaggi per le fasi intermedie, sarebbero state un grosso svantaggio. Per esempio, gli evoluzionisti suppongono che, per quanto possa sembrare strano, avvennero mutazioni che influenzarono solo il quarto dito, poco per volta. Naturalmente altre mutazioni casuali, avvenute contemporaneamente, per quanto possa sembrare incredibile furono responsabili della graduale origine della membrana alare, dei muscoli del volo, dei tendini, dei nervi, dei vasi sanguigni e delle altre strutture necessarie a formare le ali. In qualche fase, il rettile volante in evoluzione, avrebbe avuto ali al 25 percento. Questa strana creatura, però, non sarebbe mai sopravvissuta. A che servono ali al 25 percento? Ovviamente la creatura non poteva volare e non poteva più correre…72
In breve, è impossibile spiegare le origini dei rettili volanti con i meccanismi dell’evoluzione darwiniana. E, infatti, i reperti fossili rivelano che non ebbe luogo alcun processo evolutivo. Gli strati fossili contengono solo rettili di terra come quelli che conosciamo oggi e rettili volanti perfettamente sviluppati. Non c’è alcuna forma intermedia. R. Carroll, come evoluzionista, fa la seguente ammissione:
…tutti gli pterosauri del Triassico erano altamente specializzati per il volo… Essi forniscono poche prove della loro specifica discendenza e nessuna di fasi precedenti nell’origine del volo.73


Le ali dei rettili fossili si estendono su un "quarto dito" lungo circa 20 volte più delle altre dita. Il punto importante è che questa interessante struttura alare emerge improvvisamente e pienamente formata nei reperti fossili. Non ci sono esempi che indichino che questo "quarto dito" sia cresciuto gradualmente - in altre parole che ci sia stata un'evoluzione.
Più di recente, Carroll nel suo Patterns and Processes of Vertebrate Evolution, mette l’origine degli pterosauri tra le transizioni importanti di cui non si sa molto.74
Come si può vedere, non c’è alcuna prova dell’evoluzione dei rettili volanti. Poiché per la maggior parte delle persone il termine “rettile” indica solo quelli che vivono sulla terra, popolari pubblicazioni evoluzioniste cercano di dare l’impressione che i rettili svilupparono le ali e iniziarono a volare. Resta il fatto, però, che sia i rettili abitanti sulla terra che quelli volanti comparvero senza alcuna relazione evolutiva tra loro.
Rettili marini
Un’altra interessante categoria nella classificazione dei rettili è quella dei rettili marini. La grande maggioranza di queste creature si è estinta, sebbene le tartarughe siano un esempio di un gruppo che è sopravvissuto. Come nel caso dei rettili volanti, l'origine dei rettili marini è qualcosa che non può essere spiegato con un approccio evolutivo. Il rettile marino più importante che si conosce è la creatura nota come ittiosauro. Nel loro libro Evolution of the Vertebrates, Edwin H. Colbert e Michael Morales, ammettono il fatto che non può essere data alcuna spiegazione evolutiva per l'origine di queste creature.

Uno ittiosauro fossile del genere Stenopterygius, di circa 250 milioni di anni fa.
Gli ittiosauri, sotto molti aspetti i più altamente specializzati tra i rettili marini, comparvero all’inizio dei primi tempi triassici. Il loro avvento nella storia geologica dei rettili fu improvviso e drammatico, non c’è alcun esempio nei sedimenti pre-triassici come possibile antenato degli ittiosauri...Il problema di base delle parentele dell’ittiosauro è che non può essere fornita alcuna prova conclusiva per collegare questi rettili a qualsiasi altro ordine di rettili.75 Così Alfred S. Romer, un altro esperto di storia naturale dei vertebrati scrive:

Uno ittiosauro fossile di 200 milioni di anni fa.
Non si conosce alcuna forma precedente [di ittiosauri]. Le peculiarità della struttura degli ittiosauri richiederebbero apparentemente un lungo tempo per lo sviluppo e quindi un’origine molto antica del gruppo ma non si conosce alcun rettile permiano antecedente ad esso.76
Ancora, Carroll deve ammettere che l’origine degli ittiosauri e dei notosauri (un'altra famiglia di rettili acquatici), è tra i molti casi “poco conosciuti” per gli evoluzionisti.77
In breve, le diverse creature che ricadono sotto la classificazione di rettili giunsero all’esistenza sulla terra senza alcuna relazione evolutiva tra di loro. Come vedremo a tempo debito, la stessa situazione si applica ai mammiferi: ci sono mammiferi volanti (pipistrelli) e mammiferi marini (delfini e balene). Questi diversi gruppi, però, sono lungi dall’essere prova dell’evoluzione. Essi rappresentano piuttosto serie difficoltà che l’evoluzione non può spiegare perché in tutti i casi le diverse categorie tassonomiche comparvero sulla terra improvvisamente, senza alcuna forma intermedia tra di loro e con tutte le diverse strutture già intatte.
Questa è una chiara prova scientifica che tutte queste creature in realtà furono create.

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